La famiglia Samuele Zeitlin
Gandino
Scheda di famiglia e percorso di internamento
Samuele Zeitlin (IG), nato a Smolensk (URSS) il 26 novembre 1882, con la moglie Caterina Schlesinger (IG), nata a Bratislava (Cecoslovacchia) il 12 febbraio 1884, e i figli Mirko (IG), nato a Zagabria (JU) il 22 giugno 1911, Milan (IG) (Emmanuel)[1], nato a Zagabria (JU) il 2 settembre 1913, Giuseppe (IG), nato a Zagabria (JU) il 5 giugno 1913 (1915),Zvomir (IG) (Zvonimir), nato a Zagabria (JU) il 19 aprile 1918; con loro la moglie di Mirko: Ester Furst (IG) (o Estera), nata a Szerdahely (H) il 8 febbraio 1916 (o 1917), e la figlia Frida (IG), nata a Zagabria (JU) il 22 febbraio 1940; giunti in Italia da Lubiana, furono internati e confinati a Gandino il 21 ottobre 1941[2]. A Gandino nacque il 7 dicembre 1941 il secondo figlio di Mirko e Ester: Ignazio (IG)[3]; erano presenti al 29 giugno 1943
(Capitoli di riferimento: Gli “internati liberi” in provincia di Bergamo / Fuggiaschi e clandestini)
Gli Zeitlin erano una famiglia di commercianti di Zagabria riuscita a fuggire dalla Croazia prima di essere catturata dai tedeschi, come racconta Ester a Lina Rudelli[4]:
Mi faceva vedere le foto delle sue nozze a Zagabria e m’ha detto che là loro hanno offerto tanto oro ai tedeschi per avere salva la vita, solamente i tedeschi hanno preso tutto l’oro e poi questi vengono a sapere che stanno arrestando gli ebrei e allora loro sono riusciti a fuggire e sono finiti a Gandino[5].
Dopo aver raggiunto Lubiana riuscirono a venire in Italia, furono la prima famiglia, ed anche la più numerosa, internata a Gandino. Gli Zeitlin, malgrado le vessazioni subite a Zagabria, dovevano avere ancora un discreto capitale se poterono essere internati a proprie spese. A Gandino avevano trovato alloggio in Viale delle Rimembranze presso l’accogliente famiglia di Michele Nodari. Samuele era una persona molto osservante e il signor Mario Nodari ricorda lo stupore che provava per le regole ferree osservate durante le pratiche religiose. Ricordava anche il contributo affettivo che dava loro il prevosto d’allora Monsignor Maconi[6]. Nel marzo del 1942 Samuele scrisse alla Delasem[7]:
Egregio Istituto Delasem, Genova
Comunico gentilmente che mi trovo qui, insieme alla moglie, a 4 figli, alla nuora e a due nipoti, come immigranti jugoslavi a proprie spese. Per 34 anni sono stato un commerciante integerrimo a Zagreb, dove ho lasciato tutto. Chiedo il seguente favore: il mio quinto figlio si è recato il 30 maggio 1941 su ordine del nuovo regime di Zagreb, insieme ad un gruppo di ragazzi, al lavoro a Koprivnica (vicino al confine ungaro). Da lì abbiamo avuto per 6 settimane ogni giorno una lettera. In seguito, questo gruppo – così ci è stato detto – è stato trasferito a Jadovno[8]presso Gospic, che era Jugoslavia e adesso presumibilmente occupato dall’esercito italiano. Da quando è avvenuto il trasferimento nel luogo sopradetto non abbiamo più avuto segno di vita da parte sua. Mi sono rivolto a diverse organizzazioni della Croce Rossa, ma finora ho ricevuto purtroppo solo risposte negative. Ora chiedo che da parte loro facciano di tutto per scoprire se mio figlio è ancora in vita. Si chiama Hinko Zeitlin, nato a Zagreb 8 V 922, cittadino jugoslavo.
Attendo con ansia una risposta, con distinti saluti,
Samuel Zeitlin
Gandino, viale Rimembranze 11, Prov. Bergamo
Le preoccupazioni di Samuele per Hinko erano ben fondate: il 30 maggio 1941, 165 giovani fra i 17 e i 25 anni[9], perlopiù studenti liceali e universitari, furono arrestati, caricati su tre vagoni ferroviari e portati a Koprivnica ufficialmente per “svolgere il lavoro di servizio degli studenti” per otto settimane. I giovani furono ospitati nella fabbrica di prodotti chimici “Danica” che aveva interrotto la produzione e che era stata trasformata dal 15 aprile 1941 in un campo circondato da filo spinato e custodito dagli ustascia. Agli inizi di luglio gli ebrei del campo di Koprivnica vennero spostati a Gospic e da lì al vicino campo di Jadovno. Alla fine di agosto le autorità militari italiane, per motivi di sicurezza anti partigiana, in accordo con il governo croato, decisero l’occupazione militare della zona. Gli ustascia dovettero chiudere il campo, ma prima di farlo uccisero una parte dei prigionieri e si liberarono dei corpi gettandoli nei profondi burroni che erano presenti nella zona. Dei 2500 ebrei detenuti 1000 furono uccisi, gli altri portati nel campo di sterminio di Jasenovac[10], un luogo dove trovarono la morte tra le 77.000 e le 99.000 persone, fra di esse Hinko.
Per le autorità italiane però non era il destino di Hinko a costituire un problema, il problema era che la lettera non era stata sottoposta alla “revisione” da parte delle autorità; venne quindi intercettata e rispedita dalla Questura al Comune di Gandino con l’invito “a diffidare il mittente a non sottrarre per l’avvenire la sua corrispondenza alla prescritta censura, onde evitare il suo trasferimento in campo di concentramento.” Il comune rispose precisando “che la lettera spedita dallo Zeitlin porta la data anteriore alla comunicazione fatta da questo ufficio allo stesso Zeitlin” relativa alla revisione della corrispondenza[11].
Il 3 settembre 1942 Samuele e la moglie ottennero di potersi recare in licenza per tre giorni a Malo (VI), dove era internata la figlia Renè[12] con il marito Arpad Bucher e i quattro figli. Gli Zeitlin partirono il giorno 10 per Malo, e rientrarono a Gandino il 15, il viaggio fu accompagnato dalle comunicazioni del comune alla Questura[13]. Samuele, preoccupato per i suoi parenti rimasti in Croazia, a Spalato, zona di guerra tra forze partigiane e esercito italiano coadiuvato dagli ustascia croati, chiese che potessero trasferirsi a Gandino, la domanda però venne respinta dal Ministero dell’Interno e la Questura incaricò il podestà di “renderne edotto l’interessato”[14]. Il 19 ottobre 1942 un’altra licenza, questa volta di 8 giorni, per il figlio Giuseppe per recarsi a Mel (BL); Giuseppe probabilmente vi si recava per visitare la famiglia di Schlesinger Kolomon, presumibilmente parente della madre, che li era internato con la moglie e i sei figli[15]. In quello stesso periodo Zvomir inoltrò istanza per poter accedere a cure dentarie nel comune di Bergamo, la Questura incaricò i carabinieri “di disporre gli opportuni accertamenti ed in caso favorevole, concedere il permesso”, la lettera contiene anche un rimprovero per il podestà, che aveva inviato l’istanza alla Questura e non ai carabinieri, come prescritto dalla circolare del 2 febbraio 1942; il mal di denti di Zvomir dovette aspettare molti giorni, almeno una decina, per poter essere curato, visto che la lettera impiegò tre giorni per tornare a Gandino[16].
Ai primi di aprile del 43 fu Kolomom Schlesinger a ricambiare la visita di Giuseppe, lo accompagnò la figlia Stella, la Questura di Belluno comunicò il 22 marzo 1943 la concessione della licenza ai comuni di Mel e Gandino, successivamente il Comune di Mel informò quello di Gandino che gli Schlesinger sarebbero partiti il 29 marzo e avrebbero dovuto tornare entro il 7 aprile. Il viaggio da Mel a Gandino richiedeva due giorni: Kolomon giunse puntualmente a Gandino il 31 e il comune ne dette immediata notizia alle questure di Belluno e Bergamo[17]. Nel 1943 gli Zeitlin dovevano aver finito i loro risparmi, agli inizi di aprile infatti presentarono domanda per poter ottenere a loro volta il sussidio governativo previsto per gli internati, sussidio che venne concesso[18].
“Voi ci ricevereste a braccia aperte senza badare al sacrificio pronti ad aiutare il debole… Gandino, vorrei ornare le tue porte e le tue mura con ghirlande di fiori e piantare alberi di vita lungo le tue strade e nelle tue aiuole… Abbiate la mia benedizione[19]”. E’ Isacco Zeitlin, nato Ignazio Zeitlin, ora rabbino in Israele, che scrive queste parole al Comune di Gandino. Potrebbe sembrare uno slancio poetico con un po’ di esagerazione, non appare più così quando si esamina quanto successo a Gandino dopo l’8 settembre: a Gandino erano nascosti secondo la testimonianza di Jeckiel Dubiensky[20] 42 ebrei, nessuno di loro venne preso.
All’8 settembre gli Zeitlin erano ancora tutti a Gandino presso i Nodari. Samuele aveva già perso un figlio, scomparso nei campi di sterminio degli ustascia croati, non voleva perderne altri: Giuseppe, Milan (Emmanuel) e Zvomir ai primi di novembre partirono per la Svizzera, riuscirono ad entrarvi ed ad essere accolti il 3 novembre 1943[21].
Mirko non poteva: era leggermente claudicante e aveva due bimbi piccoli di tre e due anni, Samuele ne aveva sessanta e sua moglie due di meno: allora a quell’età si era considerati vecchi, ma avrebbero potuto farcela, probabilmente non se la sentirono di lasciare il figlio, la nuora e i nipoti soli nel pericolo. Gli Zeitlin, commercianti di Zagabria, erano ebrei molto osservanti, al punto che la gente di Gandino era convinta che Samuele fosse un rabbino, vista la profonda cultura religiosa e la rigida osservanza delle norme rituali. La casa dei Nodari divenne ad un certo punto poco sicura, come per molti ebrei il primo rifugio fu la Colonia Rudelli, racconta Lina Rudelli[22]:
A Gandino chiedono un altro posto più sicuro perché venivano i rastrellamenti, qui c’era la resistenza, io facevo parte, c’era il comando in casa mia in montagna, e allora come si fa, loro vengono a rastrellare noi, sa oramai avevo fatto questo conto, se mi uccidono uccideranno me prima o il papà, bisogna che veda il papà a sapere che muoio io e io a vedere mio padre cadere, facevo questi ragionamenti, però cercavo sempre di salvarli, di salvare possibilmente gli altri, e allora questi Zeitlin mi son venuti su.
Sempre Lina ha lasciato un efficace ritratto della famiglia:
poi c’erano gli Zeitlin che poi sono andati a finire in Israele, che avevano parecchi figli e due erano riusciti ad andare in Svizzera, solo uno che aveva famiglia e due bambini è dovuto rimanere qui perché zoppicava e allora anche lui è venuto su con noi; c’era il vecchio con una barbetta grigia che quando sentiva che c’era un rastrellamento continuava … e loro erano molto ortodossi questa famiglia, gli Zeitlin, e le donne portavano la parrucca perché dopo la prima notte di nozze offrono i capelli, sono tradizioni, tutte le religioni hanno le loro. Io non lo dicevo, ma se viene una truppa tedesca li riconosce subito e gli sparano, e c’era una bella sposina che aveva due bambini e la sposina anche lei con la parrucca e a me dispiaceva tanto. Mi faceva vedere le foto delle sue nozze a Zagabria […]
Difficile ricostruire la cronologia dei trasferimenti da rifugio a rifugio a cui furono costretti durante la clandestinità: le due coste della Val Gandino sono disseminate di case e baite, il monte Sparavera è a tre quarti d’ora di cammino dal monte Palandone, dove si trova la colonia Rudelli[23]:
Più in là nel tempo, il generoso Luigino Ongaro, lì accoglierà tutti nove, dapprima, nella casa di sua proprietà in località Bonalt, vicino il monte Sparavera, poi in quella del paese di vicolo Purgatorio. Individuati, avevano abbandonato subitaneamente la famiglia Nodari che affermò che se n’erano andati senza dire dove.
La stretta osservanza delle norme religiose produsse anche qualche problema nel riuscire ad approvvigionare la famiglia, racconta ancora Lina Rudelli:
Avevano questi bambini e poi tante cose loro non le mangiavano per tradizione, e poi il sabato dicevano a mia mamma “signora do a lei bricco caffè perché io fare pecco.” Ricordo che mia mamma doveva versarglielo perché il sabato facevano pecco. Ricordo che un giorno in montagna avevamo un albero con quelle ciliegine piccoline e papà ne ha fatto tagliare dei rami e chiama questi bambini “venite, venite, qui dal nonno che vi dà.” Questi bambini a veder qualche cosa … e si è precipitata la madre e il padre “No professore fare pecco perché non si possono levare le ciliegie il giorno di sabato, si lavora.” E allora il papà dice “Le leverò io e gliele metterò in bocca.” […] Li abbiamo spostati sempre, c’è un amico avvocato che aveva un roccolo lì vicino, perché se la gente parla, e invece vengon su e fingo di far vedere che non c’è nessuno e la cosa va a posto, però sempre in collegamento con noi, e allora sono andati anche loro al colle. Mi ricordo il primo giorno dell’anno, sempre del 44, pensi mia madre così vecchia aveva 63, 64, con la neve così alta andare su a trovarli in quel posto lì, siamo arrivati al buio, e allora la signora continuava ad abbracciare mia mamma, avevamo portato una focaccia fatta in casa perché allora non si trovava niente: lei è giovane, lei non sa come era la guerra, non c’era proprio niente da sfamare, allora io ho detto faccio una focaccia, noi avevamo la farina perché avevamo della terra, e allora portagliela su. La signora anziana “di che cosa è fatta la torta”, “Signora c’è dentro l’olio” e invece io avevo messo dentro anche il burro, e lì si fa peccato perché se sono due grassi si fa peccato e sti bambini mangiavano le fette che gli andava giù fino in fondo.
Anche gli Zeitlin riuscirono ad arrivare indenni fino alla fine della guerra e a sopravvivere, anche loro si fermarono alcuni mesi a Gandino, a settembre fecero richiesta alla prefettura per il sussidio agli ex internati[24]. Salva fu anche l’altra figlia di Samuele: Renè, internata a Malo (VC), con il marito Arpad Bucler e quattro figli. Dopo l’ordine di arresto del 30 novembre, avvisati dai carabinieri del posto, anche Renè e i suoi famigliari si resero irreperibili, la via di fuga scelta non fu però la Svizzera, ma il sud liberato, riuscirono a passare le linee e ha raggiungere la salvezza. I Buchler furono fra i 982 ebrei che in base alla missione voluta da Roosevelt per portare 1000 rifugiati negli USA si imbarcarono nel luglio 1944 sulla nave trasporto truppe Henry Gibbins che li sbarcò a Fort Ontario. Arpad però non riuscì a godersi a lungo la libertà ritrovata: morì a Fort Ontario il 19 febbraio del 1945.
Dopo la guerra gli Zeitlin emigrarono in America, Francesco Ongaro, figlio di Luigino, conserva ancora una lettera di Samuel Zeitlin, spedita da Brooklyn nel 1951, con espressioni di calda riconoscenza al padre[25]. Giuseppe Zeitlin, volle tornare a Gandino per sposarsi con Paola Siegelman il 23 dicembre 1948 di fronte al sindaco Raimondo Zilioli, testimoni furono due delle persone che avevano aiutato la sua famiglia: Francesco Castelli e Antonio Servalli[26], entrambe impiegati comunali. Ignazio, il bimbo nato a Gandino, emigrò poi in Israele e diventò rabbino, anche lui mantenne sempre una grande riconoscenza verso il paese che lo aveva ospitato e salvato da piccolo[27].
[1] I dati relativi alle generalità posti fra parentesi sono quelli risultanti al Comune di Gandino; AC Gandino, situazione di famiglia di Zeitlin Samuel, senza data, redatto in risposta a richiesta della Questura di Bergamo n. 2754 in data 3 febbraio 1942.
[2] AC Gandino, Questura di Bergamo, foglio di via in data 20 ottobre 1941. Anche per alcuni degli altri figli nei documenti dell’archivio di Gandino troviamo nomi italianizzati ed anche una data di nascita con giorno diverso che indichiamo tra parentesi.
[3] Comune di Gandino, Stato Civile, registri di nascita, anno 1941, atto n. 92.
[4] Archivio personale di Silvio Cavati, intervista a Lina Rudelli di Riccardo Schwamenthal, effettuata in data imprecisata.
[5]Una delle prime attività degli ustascia subito dopo la proclamazione dello stato indipendente della Croazia (NDH) il 10 aprile 1941, fu la richiesta di contributi agli ebrei. La procedura per determinare e certificare il contributo era quasi sempre la stessa: i tedeschi e gli ustascia arrestavano gli ebrei più ricchi e più importanti di una città e li tenevano in ostaggio finché gli ebrei di quella città non avevano raccolto una certa somma di denaro entro una scadenza. Così i tedeschi di Zagabria avevano arrestato diversi operatori pubblici e culturali ebrei già il 10 e 11 aprile 1941, e gli ustascia nello stesso mese, dal 25 al 28, avevano arrestato un folto gruppo di avvocati, praticanti di avvocati e alcuni ebrei benestanti e li avevano detenuti nel campo di Kerestinac, che era stato fondato il 19 aprile 1941, questo prima ancora che il decreto legge sulla razza e il decreto legge sulla protezione del sangue ariano e la purezza del popolo croato fossero adottati il 30 aprile 1941. Da aprile a giugno 1941 gli arresti di ebrei furono individuali, gli arresti di massa e le deportazioni nei campi iniziarono verso la fine di giugno e culminarono in luglio, agosto e settembre di quell’anno. Cfr. Narcisa Lengel-Krizman and Mihael Sobolevski: Arrest of 165 jewish youths in Zagreb in may 1941, Novi Omanut Magazine, Zagreb, November – December 1998/5759, UG Jadovno 1941 Association of Descendants and Supporters of Victims of Complex of Death Camps NDH, Gospić-Jadovno-Pag1941, http://jadovno.com/arhiva/docs-en-lat/articles/hapsenje-165-jevrejskih-omladinaca-u-zagrebu-u-maju-1941-godine-eng.html.
[6] Cfr. Bruno Enriotti, Angelo Ferranti e Ibio Paolucci, Gandino: tutto il paese salvò gli ebrei dai lager nazisti negli anni cupi dell’occupazione tedesca, in Triangolo Rosso, Giornale a cura dell’Associazione nazionale ex deportati politici e della Fondazione Memoria della Deportazione, Nuova serie – anno XXIV N. 3-4 Ottobre 2006, p. 8, edizione on line, pdf scaricabile, http://www.deportati.it/triangolorosso/2006/tr/3-4/tutto.pdf, p. 8 e Iko Colombi, Memoria di gente ebrea a Gandino, Civit@s periodico di informazione del Comune di Gandino Anno 5, n. 1, marzo 2006, reperibile anche on line come pdf scaricabile su https://www.gandino.it/paper/civits-marzo-2006, Giovanni Maconi era nato a Costa Imagna il 7 marzo 1887, ordinato sacerdote il 21 settembre 1911 e parroco di Gandino dal 1938. È morto a Gandino il 15 febbraio 1956.
[7] Il testo originale della lettera è in lingua tedesca. La Delasem, Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei era un’organizzazione di resistenza ebraica che operò in Italia tra il 1939 e il 1947 per la distribuzione di aiuti economici agli ebrei internati o perseguitati, potendosi avvalere anche del supporto di numerosi non ebrei. Nacque l’1 dicembre 1939, come associazione autorizzata, ad opera di Dante Almansi e dell’avvocato genovese Lelio Vittorio Valobra, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’Unione delle comunità israelitiche in Italia. Il suo scopo ufficiale era quello di assistere i correligionari profughi in Italia ed agevolarne l’emigrazione. La Delasem aveva importanti contatti sia con la Chiesa Cattolica sia con le organizzazioni ebraiche di beneficenza internazionali.
[8] Il campo di concentramento di Jadovno fu costruito in una zona appartata a circa 20 chilometri dalla città di Gospić; durante i 132 giorni della sua esistenza gli ustascia vi uccisero nel modo più crudele 40.123 uomini, donne e bambini, dai bambini appena nati agli anziani, solo perché erano serbi, ebrei e anche croati che non appoggiavano il regime razzista Ustascia dello Stato indipendente della Croazia. Su 40.123 vittime, 38.020 erano serbi, 1.998 ebrei, 88 croati e 25 per altre motivazioni. Entro la fine del 1991, furono scoperti i nomi di 10.502 persone. La disgregazione dello stato jugoslavo ha impedito al ricercatore di stilare un elenco più completo delle vittime dal 1941. Delle 10.502 vittime conosciute per nome, 9.663 erano serbi, di cui 1.014 bambini sotto i 15 anni; 762 ebrei, 15 dei quali bambini; 55 croati e per altre motivazioni 22. Cfr. Zatezalo Duro, Jadovno – A Complex of Ustasha Camps in 1941, Museum of Genocide Victims, Belgrade, 2007, Prefazione alla lista dei nomi delle vittime, v. 1, p. 765.
[9] Cfr. Zatezalo Duro, Jadovno – A Complex of Ustasha Camps in 1941, op. cit.
[10] Il complesso del campo di Jasenovac era stato istituito tra l’agosto 1941 e il febbraio 1942 dalle autorità dello Stato indipendente della Croazia. Dopo l’invasione e lo smembramento della Jugoslavia, tedeschi e italiani consentirono il 10 aprile, nel 1941 la proclamazione del cosiddetto Stato Indipendente di Croazia da parte dell’organizzazione ustascia di Ante Pavelic, un gruppo fanatici fascisti, nazionalisti e razzisti. Dopo la presa del potere, le autorità ustascia tra la fine di agosto del 1941 e il 1945 costituirono numerosi campi di concentramento in Croazia. Il più grande era il complesso di Jasenovac, una serie di cinque campi sulle rive del fiume Sava, a circa 60 miglia a sud di Zagabria. I primi due campi a entrare in funzione furono Jasenovac-Krapje e Jasenovac-Brocica, chiusi quattro mesi dopo. Gli altri tre campi: Jasenovac-Ciglana, aperto nel novembre 1941 e Jasenovac-Kozara, aperto nel 1942 furono smantellati nell’aprile 1945; Jasenovac- Stara Gradiska, che era un centro di detenzione indipendente per prigionieri politici dall’estate del 1941, fu convertito in un campo di concentramento per donne nell’inverno del 1942. I campi erano sorvegliati dalla polizia politica croata e dal personale della milizia ustascia. Le condizioni nei campi di Jasenovac erano orrende: i prigionieri ricevevano cibo minimo e il riparo e le strutture sanitarie erano totalmente inadeguati, le guardie erano solite torturare, terrorizzare e uccidere i prigionieri a volontà. Tra la sua fondazione nel 1941 e la sua evacuazione nell’aprile del 1945, a Jasenovac furono uccisi tra i 45.000 e i 52.000 residenti serbi del cosiddetto Stato indipendente della Croazia, tra i 12.000 e i 20.000 ebrei, tra i 15.000 e i 20.000 Rom (zingari) e tra i 5.000 e i 12.000 croati e musulmani etnici, che erano oppositori politici e religiosi del regime. Cfr. Jasenovac in United States Holocaust Memorial Museum (USHMM di seguito), https://www.ushmm.org/wlc/en/article.php?ModuleId=10005449.
[11] AC Gandino, lettera della Questura di Bergamo in data 12 marzo 1942; risposta del Comune di Gandino in data 16 marzo 1942.
[12] Renèe Zeitlin, è nata a Zagabria il 12 luglio 1912 era coniugata con Buechler Arpad, nato a Prelog l’08 settembre 1902, commerciante, di condizione buona, annota il Comune di Malo. La coppia aveva avuto quattro figli: Pavao (Pavac), nato a Zagabria il 28 luglio 1935, Dan, nato a Zagabria il 25 dicembre 1936, Blanka, nata a Zagabria il 31 luglio 1938, Anna, nata a Malo il 29 aprile 1942. I dati sono presenti sul sito http://www.dalrifugioallinganno.it/Comuni/malo.htm.
[13] AC Gandino, lettera della Questura di Bergamo in data 3 settembre 1943, lettera del Comune di Gandino alla Questura del 7 settembre 1942, foglio di via del Comune di Malo (VI) in data 15 settembre 1942, lettera del Comune di Gandino alla Questura del 17 settembre 1942.
[14] AC Gandino, lettera della Questura di Bergamo in data 21 settembre 1942.
[15] AC Gandino, lettera della Questura di Bergamo in data 19 febbraio 1942, lettera del Comune di Gandino alla Questura del 27 ottobre 1942, lettera della Questura di Bergamo in data 25 novembre 1942, lettera del Comune di Gandino alla Questura in data 2 dicembre 1942.
[16] AC Gandino, lettera della Questura di Bergamo al Comando Comp. CC.RR. Esterna e al Comune di Gandino in data 31 ottobre 1942; circolare della prefettura di Bergamo in data 27 febbraio 1942.
[17] AC Gandino, lettera della Questura di Belluno ai comuni di Mel (BE) e Gandino in data 22 marzo 1943, lettera della Questura di Bergamo in data 26 marzo 1943, lettera del Comune di Mel al Comune di Gandino in data 27 marzo 1943, fogli di via del Comune di Mel in data 29 marzo 1943, lettere del Comune di Gandino alle questure di Belluno e Bergamo in data 31 marzo 1943.
[18] AC Gandino, lettera alla Questura di Bergamo in data 8 aprile 1943 per la trasmissione della richiesta di Samuele e Mirko Zeitlin volta ad ottenere il sussidio governativo per gli internati; Questura di Bergamo lettera del 11 giugno 1943 che comunica la concessione del sussidio.
[19] Cfr. Iko Colombi, Memoria di gente ebrea a Gandino, op. cit., p. 6.
[20] La testimonianza di Jeckiel è riportata nella storia della famiglia Dubiensky.
[21] USHMM, HSVD, https://www.ushmm.org/online/hsv/person_advance_search.php, i nomi da indicare sono Zeitlin Emanuel, Josip e Zvonimir.
[22] Archivio personale di Silvio Cavati, intervista a Lina Rudelli di Riccardo Schwamenthal, effettuata in data imprecisata.
[23] Cfr. Iko Colombi, Memoria di gente ebrea a Gandino, op. cit., p. 7.
[24] AC Gandino, lettera alla prefettura di Bergamo in data 3 settembre 1945.
[25] Bruno Enriotti, Angelo Ferranti e Ibio Paolucci, Gandino: tutto il paese salvò gli ebrei dai lager nazisti, op. cit., p. 8.
[26] Comune di Gandino, Stato Civile, registro degli atti di matrimonio, anno 1948 atto n. 1 p 1.
[27] Bruno Enriotti, Angelo Ferranti e Ibio Paolucci, Gandino: tutto il paese salvò gli ebrei dai lager nazisti, op. cit., p. 8.