La famiglia di Bela Quitt
Sarnico
Scheda di famiglia e percorso di internamento:
Bela Quitt (IG), nato a Osijek (JU) il 14 giugno 1906, con la moglie Elisabetta Ferber (IG), nata a Fiume (Italia) il 22 marzo 1913; giunti in Italia da Fiume furono internati e confinati a Sarnico il 21 maggio 1942, con loro anche il fratello di Elisabetta: Arturo Ferber (IG), nato a Fiume (Italia) l’8 gennaio 1918; internato, fu confinato a Sarnico nel settembre 1942, e un cognato di Elisabetta: Maurizio Schlei (IG), nato il 17 settembre 1925, jugoslavo; internato, fu confinato a Sarnico; erano tutti presenti a Sarnico al 30 novembre 1943.
(Capitoli di riferimento: Gli “internati liberi” in provincia di Bergamo / Fuggiaschi e clandestini)
A Sarnico i Quitt erano diventati amici della famiglia Morotti che aveva un negozio di scarpe nella piazza principale di Sarnico. Il padre, Giovanni Morotti, socialista e antifascista, era un conciatore di pelli, e la madre, Aquilina Cadei, era una maestra elementare; era stata la figlia Tina a stringere per prima amicizia con il giovane Maurizio, come racconta la nipote[1]:
Mia zia Tina andò a comperare della verdura e delle uova per la sua mamma. Fuori dal negozio incontrò un ragazzo più giovane di lei. Il ragazzo la guardò incuriosito e poi le chiese di poter comperare la sua spesa. – Te la pago quello che vuoi, perché a noi ebrei, a causa delle leggi razziali, non vendono più e non abbiamo più niente da mangiare. Allora mia zia Tina, senza pensarci, regalò la sua spesa a quel ragazzo ebreo, dicendo: “Io ho due uova e tre patate, tienile”, non prese alcun soldo per la spesa che aveva donato al ragazzo. La nonna, quando mia zia arrivò a casa senza spesa, invece di rimproverarla, disse a Tina: “Hai fatto bene! Quei poveri ebrei non hanno fatto nulla di male. E poi, sono così bravi, e loro, se possono aiutare, danno una mano a tutti. Sai, c’è il dentista, il signore più anziano, che non si fa nemmeno pagare![2]” Da quel momento nacque l’amicizia tra Tina e Morci. Spesso si incontravano e la zia Tina faceva la spesa per conto del ragazzo che aveva solo sedici anni.
In paese qualcosa di quello che capitava agli ebrei si sapeva[3]:
Nell’estate del 1943 si diffusero voci che gli ebrei venivano deportati nei campi di lavoro, perché ancora non si sapeva nulla dei campi di sterminio, ma si intuiva che era in pericolo la loro vita. Chi era deportato, non dava più notizie di sé e non si sapeva più niente di lui. Era come scomparso nel nulla.
Gli internati dopo l’occupazione tedesca erano quindi in allarme, ma furono i carabinieri ad avvisare gli ebrei di fuggire e a consigliarli di raggiungere la Svizzera, come ha raccontato Egidia Morotti a Bernardino Pasinelli che ha ricostruito la storia di una di queste famiglie, quella dei Quitt e dei loro parenti: “I Carabinieri che erano stati così disponibili con loro e li avevano persino convinti a scappare da Sarnico e a raggiungere la frontiera elvetica.[4]”.
Gli ebrei di Sarnico seguirono il consiglio, non conosciamo come si salvò il signor Leo Gordan, che non compare nell’elenco dei deportati, gli altri riuscirono a raggiungere la Svizzera.
Come emerge dal racconto di Egidia Morotti, relativo al ruolo della zia Tina nella fuga dei Quitt e di Maurizio Schlei, era il padre di Tina, Giovanni, ad avere i contatti per organizzare la fuga[5]:
In quel periodo mio nonno, Giovanni Morotti, aveva dei contatti con i primi nuclei della Resistenza partigiana che si stava organizzando in Valseriana, sulle montagne sopra Gromo. Era controllato dal regime fascista per le sue idee socialiste e antifasciste. Probabilmente non era un partigiano attivo e combattente, ma dava ai partigiani dei sostegni logistici e informativi. Ormai aveva già quasi 60 anni, quindi era anziano per combattere, ma certamente era in contatto con gruppi di antifascisti.
In Svizzera fuggirono anche i coniugi Quitt: Bela, sua moglie Elisabetta, suo fratello Arturo[6] e il giovane Maurizio.
La fuga non avvenne in gruppo, racconta Egidia Morotti[7]:
Per Morci[8], che partì qualche giorno prima, l’obiettivo era quello di arrivare a Chiavenna e quindi alla frontiera per la Svizzera. La zia Tina e la sua amica Vigani, che poi si sposò con un Riva, decisero di accompagnarlo in questo viaggio difficile e rischioso. Le due giovani avevano 25 anni e Morci 18 non ancora compiuti. Andarono in corriera da Sarnico a Bergamo e poi in treno sino a Chiavenna. Morci stava davanti e le due ragazze dietro ad una certa distanza. Morci aveva deciso così perché, se l’avessero preso, non doveva esserci nessuno insieme a lui. Altrimenti avrebbero arrestato anche chi era con lui. I tre giovani fecero il viaggio, tra paure ed ansie ad ogni fermata della corriera e del treno, per il controllo dei documenti e per il timore dei bombardamenti. Arrivarono a Chiavenna.
A Chiavenna il contatto era il proprietario di una locanda, era lui a organizzare il passaggio e a riscuotere il compenso da dare ai contrabbandieri che accompagnavano oltre frontiera, una frase convenzionale fungeva da riconoscimento.
All’ingresso della locanda però una sorpresa: seduti ai tavoli c’erano molti soldati tedeschi, i giovani ebbero paura di un tradimento, ma Maurizio decise lo stesso di tentare, d’altronde era una locanda e quindi non era così strana la presenza di soldati a bere e mangiare. Insistette però che Tina e la Vigani se ne andassero subito, se le cose andavano male non voleva ci andassero di mezzo loro, e aspettò che i tedeschi se ne andassero.
Tina e l’amica tornarono in stazione, non c’erano altri treni e dovettero attendere il mattino, ma tutto andò bene e riuscirono a rientrare senza inconvenienti, ma senza sapere come era andata a Morci. Poi fu la volta dei coniugi Quit, fu ancora il padre Giovanni a organizzare la fuga, racconta Egidia[9]:
In accordo con quei primi partigiani, venne stabilito che i coniugi Quitt sarebbero andati da Sarnico fino a Ponte Nossa, dove alcune guide li avrebbero presi in consegna e accompagnati oltre Valbondione in Valtellina, verso la frontiera svizzera.
E fu Tina ad accompagnarli:
Mia zia raccontava sempre una cosa: “Pensa che cretina! Sono partita per accompagnarli a piedi con una bella gonnellina tutta a fiori e con le scarpe col tacco, camminando attraverso varie montagne, da Sarnico sopra Predore, Parzanica, Fonteno, Sovere, sino a Clusone e Ponte Nossa”. Così i coniugi Quitt sono riusciti a salvarsi! Tanto è vero che poi scrissero dalla Svizzera e in seguito da Zagabria. Erano riusciti a varcare la frontiera elvetica dalla Valtellina, raggiunta attraversando la Val Bondione.
Morci riuscì a passare in Svizzera dal valico di Castasegna, ma i Morotti non poterono sapere se l’operazione di salvataggio di Morci e dei Quitt fosse andata a buon fine finché giunse una cartolina dalla Svizzera[10]:
Laufen, 21/IV/1944
Cara Tina forse sarai arrabbiata per il mio lungo silenzio, ma appena oggi posso scriverti. Sto abbastanza bene e sono sempre con signor Bela. Lavoro tutto il giorno. Le mie vacanze ho passato a Berna. Là mi sentivo molto bene. Io penso sempre a voi, e mi piacerebbe molto se tu mi scrivessi. Cosa fanno Licia e Vinicio? Salutali molto e dì anche a loro di scrivermi. Come sta tua famiglia? Vai tu ancora a visitare signor Gordani? Dov’è lui adesso? Salutami tutti i miei conoscenti e amici, in modo particolare la tua famiglia. Tanti saluti a te e a Lidia. Morci.
P.s. scrivimi presto una lunga lettera! Anche la Lidia.
Non tutto andò bene per la famiglia Morotti, Giovanni non era un combattente, ma aiutava l’apparato logistico dei partigiani, ed è probabilmente durante una di queste missioni, mentre stava andando verso Gromo da Villa d’Ogna, dove i suoi fratelli avevano una conceria che fabbricava scarponi per l’esercito, che venne intercettato dai fascisti. Fu aggredito, picchiato e buttato nel fiume Serio. Morì a causa delle ferite e dei colpi che aveva ricevuto, era il 10 aprile 1944. Anni dopo, venne riconosciuto come vittima civile ucciso dai fascisti.
Dopo la liberazione Morci si laureò in medicina e tornò in Jugoslavia, a Zagabria. È morto nel 1981 a 56 anni.
[1] Cfr. Bernardino Pasinelli, Il racconto della professoressa Egidia Morotti, Informa Sovere Periodico del Comune di Sovere, Anno 5 n. 14, aprile 2016.
[2] Si tratta probabilmente di Leo Gordan, il più anziano degli internati, di cui non abbiamo però notizie oltre a quanto detto.
[3] Bernardino Pasinelli, Scacco matto in sette mosse all’odio, alla guerra, all’indifferenza, Informa Sovere, periodico di informazione amministrativa, culturale e sociale del Comune di Sovere Anno 5 – Numero 14, p. 7. Le notizie sulla famiglia Quitt, sui suoi parenti e sui Morotti sono tratte da questo articolo, in particolare dal racconto di Tina Morotti.
[4] Bernardino Pasinelli, Scacco matto in sette mosse, op. cit., p. 8.
[5] Bernardino Pasinelli, Scacco matto in sette mosse, op. cit., p. 7.
[6] Cfr. Renata Broggini, La Frontiera della speranza, Gli ebrei dall’Italia verso la Svizzera 1943-1945, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1998, p. 498.
[7] Bernardino Pasinelli, Scacco matto in sette mosse, op. cit., pp. 7-8.
[8] Maurizio Schlei era chiamati Morci.
[9] Bernardino Pasinelli, Scacco matto in sette mosse, op. cit., p. 7.
[10] Bernardino Pasinelli, Scacco matto in sette mosse, op. cit., p. 8.