scheda completa

Guastalla Renzo

Renzo Guastalla e Ernesto Bachi


Gazzaniga


Scheda di famiglia


Renzo Guastalla, nato il 25 dicembre 1899, la moglie Giuseppina Bachi, nata il 10 febbraio 1910 e il figlio Emilio, nato il 24 gennaio 1935.

Ernesto Bachi, nato il 2 febbraio 1914.

(Capitoli di riferimento: Gli sfollati: nuove presenze ebree italiane nella provincia / Fuggiaschi e clandestini)


Renzo Guastalla e la sua famiglia erano sfollati da Milano a Gazzaniga, dove avevano preso in affitto una villetta. È inoltre probabile la presenza di un fratello di Giuseppina, Ernesto Bachi, nato il 2 febbraio 1914, che aveva un conto in banca di L. 7.161,30 presso la locale filiale della banca Mutua Popolare di Bergamo.


Renzo Guastalla e i suoi erano rimasti a Gazzaniga anche dopo l’occupazione della provincia da parte dei tedeschi, un giorno ricevettero la visita di un conoscente che lavorava alla questura di Milano “A Gandino” gli disse “c’era un campo di rifugiati ebrei stranieri, ora stanno fuggendo in Svizzera e siccome essi sentono quando l’aria diventa infida, vi dico di provvedere in merito… e non partite tutti insieme, ma dividetevi!” Renzo quindi si teneva già pronto per una eventuale fuga e quando un dipendente del comune una mattina venne da loro di corsa ad avvisarli che i tedeschi erano giunti in paese. Non finì nemmeno di farsi la barba “Infilò l’impermeabile sul pigiama, io vestaglia e pantofole, mio figlio con un panino e una tavoletta di cioccolato in tasca, prendemmo il sentiero per la montagna, dove il contadino aveva una baita e li rimanemmo fino al calar del sole.” Così racconta Giuseppina Bachi sua moglie in uno scritto privato: “Il diario di Pinuccia” conservato dal figlio Emilio[1].


I tedeschi arrivarono alla loro abitazione, ma non li trovarono, trovarono invece i loro beni e fecero man bassa, in particolare del completo servizio da tavola in argento, come risulta da un appunto della prefettura senza firma conservato assieme all’inventario dei beni effettuato dai carabinieri prima di consegnarli ai tedeschi[2]:


29 febbraio 1944-XXII


Il Comune di Gazzaniga, telefonicamente richiesto in data odierna da questa Prefettura di fornire chiarimenti in merito al sequestro di beni mobili di appartenenza dell’ebreo Ing. Guastalla e alla loro messa a disposizione a favore del Comando Militare Germanico di Bergamo, ha fatto conoscere che il Comune stesso non aveva adottato alcuna iniziativa al riguardo. – Tempo addietro, si sono presentati, direttamente alla villa già occupata dall’Ing. Guastalla, alcuni incaricati del predetto Comando Germanico i quali, dopo aver provveduto all’asportazione di parte del mobilio e di oggetti, hanno suggellato due locali dell’abitazione dopo avervi raccolto il rimanente dei beni. – Le chiavi predette, secondo quanto asserisce il Comune di Gazzaniga, sarebbero in mano del Comando militare germanico di Bergamo.


Non fu solo il comando germanico ad approfittare della situazione: con lettera in data 7 febbraio 1945 l’Egeli segnalava alla Prefettura di Bergamo che il proprio delegato “si è recato sul posto ed ha appreso che il mobilio di cui trattasi è stato in parte venduto alla spicciolata da militari tedeschi e dal custode dei mobili stessi[3]


Il resto era rimasto nella casa che avevano affittato come sfollati e i carabinieri ne avevano fatto prontamente l’inventario[4]. Il decreto di confisca precisa senza ombra di dubbio il significato di quella riga del decreto del Duce n. 2: “né essere proprietari di altri beni mobiliari di qualsiasi natura”:


Il Capo della Provincia


[…] visto il decreto legislativo del Duce 4 gennaio 1944 n. 2 riguardante nuove disposizioni concernenti i beni posseduti dai cittadini di razza ebraica […]


Decreta


I seguenti beni mobili, di proprietà del cittadino italiano di razza ebraica Guastalla Ing. Renzo situati nel Comune di Gazzaniga (Bergamo) […] sono confiscati a favore dello stato e trasferiti, per la gestione all’Ente Gestione e Liquidazione Immobiliare, incaricato dallo Stato di amministrarli e di alienarli con le norme che saranno a suo tempo stabilite dal Ministero delle Finanze:


n. 1 sacco contenente Kg. 20 di frumento

n. 2 damigiane di grano

n. 1 vassoio d’argento cesellato grande, rotondo

n. 1 vassoio d’argento piccolo, ovale

segue l’elenco completo di un servizio di argenteria da tavola, ma l’elenco dei beni non si ferma agli oggetti di valore:

n. 2 paia di scarpe nuove

n. 1 paio di scarpe usate

n. 3 mutande uomo

n. 5 magliette uomo

n. 1 spazzola per panni

[…]

n. 5 colli bianchi da camicia

n. 3 camicie da uomo

n. 1 paio di mutande da uomo


Il decreto era datato 7 febbraio 1944[5], e come tutti i decreti di esproprio veniva pubblicato sul bollettino ufficiale della RSI.


Dopo la fuga Renzo e la sua famiglia organizzarono la fuga in Svizzera, riuscirono a superare la frontiera e a farsi accogliere[6]


I rifugiati accolti in Svizzera venivano mandati in campi di “quarantena” sotto sorveglianza militare, dove venivano svolte anche le pratiche di accertamento di identità e di status, oltre alla verifica delle condizioni di salute; per la quarantena furono usati numerosi edifici tra cui alcuni alberghi, adattati all’esigenza di fronteggiare l’emergenza e accogliere un numero di persone esuberante la capienza:


Già altri profughi erano installati, ed erano tutti alle finestre a scrutare se tra i nuovi arrivati vi fosse qualche conoscente. A noi, riuniti sullo spiazzo antistante l’albergo, fecero l’appello e poi ci sistemarono a nostra volta. A pianterreno, dove prima c’era la camera da pranzo, due file di giacigli di paglia divisi da una steccata di legno; una bimba passando chiede ingenuamente: “E le mucche dove sono?” Al piano superiore le camere con due letti erano trasformate per quattro persone alternando i Ietti ai materassi. E qui sistemarono donne e bambini. A me toccò un materasso da dividere con mio figlio: mio marito e mio cognato sulla paglia con una coperta con lo stemma svizzero, coperta che bisognava piegare a regola d’arte con la croce ben in vista.


La sorveglianza e le regole interne erano esercitate da personale dell’esercito, e non sempre i comandanti dei vari campi si dimostrarono all’altezza del compito, occorre dire, ad onore delle autorità svizzere, che quando questo veniva verificato a seguito di proteste dei rifugiati, i comandanti venivano sostituiti:


II capitano che dirigeva tutto il complesso sembrava un tedesco, tanto era rigido, impettito, quasi ostile; ma durò poco, per fortuna; venne sostituito da uno più umano, bonario, la cui moglie, quando veniva in visita, portava ai bambini cioccolato e giocattoli. Ci portavano a fare delle lunghe passeggiate nei boschi circostanti, accompagnati da un soldato che era stato nella Legione Straniera e parlava francese. Un po’ dispettoso, quando avevamo imboccato un sentiero, fischiava e ci faceva cambiare direzione.


Terminato il periodo di quarantena i rifugiati venivano avviati ad altre destinazioni, chi possedeva mezzi per provvedere al proprio sostentamento e dei garanti già residenti in Svizzera poteva godere di una certa libertà e sfuggire all’internamento nei campi, dove invece era il governo svizzero a provvedere alle necessità dei rifugiati. I Guastalla dovettero essere fra questi e vennero inviati in una città che il testo non specifica, forse Ginevra:


Nevicava. Con un carro scoperto, aprendo l’unico ombrello per proteggerci, lasciammo Lauterbach per scendere a Olten e prendere il treno che ci avrebbe condotto nella bella cittadina sul lago Lemano. Prima preoccupazione: trovare un albergo per dormire. La scelta cadde sull’Hotel Helvetie, sans alcool, protestante: su ogni tavolino da notte vi era una Bibbia. Che piacevole sensazione: un lavabo con un rubinetto da cui sgorgava l’acqua con cui lavarsi! Seconda impresa: trovare una modesta pensione per il nostro soggiorno che poteva anche prolungarsi per anni. La scelta cadde sulla Pension Valaisanne situata “au bord du lac”. II prezzo era di sette franchi al giorno.


Per i figli dei rifugiati non vi erano problemi per l’accesso alle scuole: per gli studenti universitari internati furono costituiti appositi campi, per gli studenti delle scuole inferiori, internati o no, venne organizzata la frequenza ai corsi ordinari: 


La maestra, mademoiselle Maury, fu gentilissima. A me, che le chiedevo se dovevo far dare delle lezioni di francese al ragazzo, rispose: “Ce n’est pas necessaire; vous verrez: en deux mois il sera comme les autres”. E subito lo fornì di lavagnetta, astuccio per le matite e penne, quaderni e libri! E pensare che in Italia non poteva più andare a scuola! L’insegnamento era a dir poco meraviglioso. Questa maestra era capace di far contemporaneamente tre dettati diversi a seconda dell’epoca di arrivo di questi rifugiati. Ed era a sua volta entusiasta degli alunni italiani, aperti, vivaci, volonterosi.


Terminata la guerra i Guastalla poterono rientrare in Italia.






[1] Cfr. Renata Broggini, La Frontiera della speranza, Gli ebrei dall’Italia verso la Svizzera 1943-1945, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1998, p. 30; anche i successivi brani sono tratti dallo stesso testo rispettivamente a pp. 177, 178, 244, 258.


[2] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc. 18.


[3] Cfr. La normativa antiebraica italiana sui beni e sul lavoro (1938-1945) dal Rapporto generale Commissione Anselmi, paragrafi 2.c.5 e 1.a.4, reperibile sul sito della Presidenza del Consiglio al seguente indirizzo: 

http://presidenza.governo.it/DICA/beni_ebraici/ e sul sito del CDEC al seguente indirizzo: 

http://www.cdec.it/home2_2.asp?idtesto=185&idtesto1=612&son=1&figlio=877&level=2, p. 115.


[4] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc. 18.


[5] ASBg, Gab. Pref. b.e. 2, serie IV fasc. 6.


[6] Purtroppo il “Diario di Pinuccia” non viene riprodotto per intero nel libro di Renata Broggini: il testo intervalla le notazioni di carattere generale con i racconti dei rifugiati ebrei dall’Italia, riprodotte per la parte inerente l’oggetto del capitolo. Parte della testimonianza dello stesso rifugiato possono comparire in più capitoli, come succede per Giuseppina Bachi e diversi altri.