Aldo e Lilly Friedrich
Treviglio
Scheda di famiglia
Aldo Friedrich, nato a Fiume il 1 maggio 1938, la sorella Liliana, nata a Fiume il 16/12/1936; i genitori Andrea Friedrich, nato a Gorican (HU) l’11 settembre 1899 e Mira Vamos, nata a Tarnopol (PL) il 7 gennaio 1902.
(Capitolo di riferimento: Fuggiaschi e clandestini)
Andrea Friedrich era nato a Gorican, allora compresa nel territorio del regno d’Ungheria e ora in Croazia, ma si era poi stabilito a Fiume dove esercitava un commercio di articoli da bazar. A Fiume dopo la guerra si era arruolato nella Legione Fiumana[1], un corpo di volontari formatosi dall’aprile 1919, sotto la guida di Giovanni Host-Venturi e Giovanni Giuriati, per favorire l’assegnazione di Fiume all’Italia. La legione Fiumana sostenne l’avventura dannunziana. A Fiume si era sposato con Mira Vamos, figlia di una numerosa famiglia ebrea di origini russe, ma residente a Fiume dal 1907, a Fiume erano nati i due figli: Liliana e Aldo. Dopo l’occupazione tedesca i Friedrich fuggirono da Fiume e si portarono a Milano[2]. Forse con loro era venuta anche la bambinaia o forse avevano assunto una ragazza sul posto, fu lei a portare in salvo i bambini quando l’8 dicembre 1943 la polizia italiana bussò alla loro porta e arrestò Mira e suo marito Andrea. Da Milano passarono anche alcuni parenti di Mira[3]: il padre Sigismondo Vamos di 71 anni, la sorella Nelly di 47 che erano riusciti a sfuggire all’arresto dei loro familiari: il marito di Nelly, Luigi Kroo di 58 anni, i loro due figli: Giuseppe, 24 anni e Alessandro 20 anni, e la madre Elisabetta Kamras di 70 anni, erano stati arrestati a Fiume il 27 marzo 1944 e deportati[4]. Sigismondo e Nelly raggiunsero Milano e poi tentarono la fuga in Svizzera, ma furono arrestati al valico di Ponte Tresa (VA) il 28 aprile 1944, Nelly risulta anche nell’elenco dei respinti dalla Svizzera[5]. Entrambe furono deportati. Sigismondo morì ad Auschwitz dopo l’agosto 1944, anche gli altri famigliari non tornarono dai campi di sterminio, solo Nelly riuscì a sopravvivere e a tornare in Italia. Andrea e Mira furono deportati ad Auschwitz il 30 gennaio 1944. Forse a Milano in carcere riuscirono a incontrare il fratello di Mira, Alberto Vamos di 46 anni. Alberto era stato internato prima a Notaresco (TE), poi a Cermignano (TE) e infine dal 28 aprile 1943 a Imola. Da lì aveva cercato di raggiungere la Svizzera, ma era stato arrestato da italiani a Brivio (CO) il 29 novembre 1943, detenuto nel carcere di Milano e deportato ad Auschwitz con lo stesso convoglio di Mira e Andrea, come loro non fece più ritorno.
Aldo e Lily (Liliana) Friedrich furono portati dalla bambinaia a Treviglio in cerca di un rifugio, non sappiamo nulla di questa donna che si fece carico di sottrarre i bambini alla cattura, né sappiamo chi la indirizzò a Treviglio. Suor Angelica[6] era la superiora del ricovero per indigenti Brambilla-Crotta di Treviglio, a lei si rivolse la bambinaia in cerca di aiuto e per i due bambini fu trovato un rifugio sicuro. Suor Angelica non prestò aiuto solo ai piccoli Friedrich: testimoni raccontano che[7]:
negli anni ’40 fece nascondere a Brignano, con la complicità dell’allora podestà del paese, anche altri tre ebrei: si trattava di una madre con il proprio figlioletto e un’altra anziana signora. L’episodio è stato attestato anche dalla comunità israelitica di Milano. In questo modo i tre scamparono alla deportazione.
I due bambini giunsero indenni alla fine della guerra e alla liberazione. La loro bambinaia riuscì a rintracciare i parenti di Mira: tre dei suoi fratelli avevano lasciato l’Italia nel 1939 a seguito della promulgazione delle leggi razziali ed erano emigrati negli Stati Uniti. Erano tornati in Italia dopo la guerra: è forse a uno di loro che furono affidati i bambini. Lily e Aldo emigrarono poi in Australia[8].
Il ricovero Brambilla Crotta non era solo un rifugio occasionale, e suor Angelica non si limitò ad aiutare alcuni ebrei occasionalmente conosciuti, era una tappa per la fuga degli ebrei che da lì in camion venivano trasportati verso il confine. In questa rete di aiuto troviamo un nome già incontrato, quello di don Eugenio Bussa. E’ il racconto di Elia Somenzi, allora giovanissimo partigiano, che ce lo rivela. Elia era figlio di Ermanno, responsabile della qualità della ditta Filande del Nord Est dell’Italia, che aveva a disposizione camion per il trasporto dei prodotti di filanda.
Gli ebrei arrivavano al ricovero da suor Angelica e da lì partivano con i camion per Milano, dove venivano ospitati da famiglie dell’organizzazione di don Bussa (la famiglia Somenzi lo aveva conosciuto durante un periodo di permanenza a Milano). Da lì, al momento opportuno, nascosti in vani ricavati dietro il carico ufficiale, in piccoli gruppi di quattro o cinque persone, spesso bambini, venivano portati a Cadegliano, nella cascina di un ex dipendente della filanda[9] a cinque chilometri da Ponte Tresa (VA) nei pressi del confine svizzero. Il compito di Elia, che aveva 16 anni nel 1943, era di accompagnarli al confine[10]:
Il nonno a suo tempo gli aveva fatto conoscere i sentieri dei contrabbandieri, i vecchi tragitti e bunker della grande guerra, ma stavolta non era un gioco. Il Tresa ad un certo punto si allargava, potevi bagnarti i piedi, i bimbi si bagnavano le gambette, ma ce la facevi. Oltre, la Svizzera. Fino alla primavera del 1944 Elia obbediva a suo padre, che era d’accordo con quel parroco dell’Isola di Milano, don Eugenio Bussa, oggi riconosciuto Giusto tra le Nazioni.
La rete di confine veniva oltrepassata senza far suonare i campanelli d’allarme grazie ad un tunnel scavato dai contrabbandieri, altre persone avevano il compito di far scattare l’allarme in posti lontani per attirare l’attenzione delle guardie. “Era una procedura rischiosa. Una volta fui denunciato. I fascisti avevano offerto un compenso di 5.000 lire a chiunque avesse comunicato i nomi di chi aiutava gli ebrei” racconta Elia[11]. Qualcuno infatti lo denunciò, venne arrestato ai primi di luglio 1944 dalla X Mas per la sua attività di aiuto agli ebrei e sottoposto a tortura “Un giorno i fascisti mi spaccarono le costole, il torace, per farmi parlare. Volevano sapere dove nascondevo i bambini. Il medico, anni dopo, quando vide la radiografia del mio torace si spaventò”, prosegue Elia. Riuscì a fuggire, grazie anche alla complicità di alcuni carabinieri, assieme a 4 compagni di prigionia, anarchici carraresi, come lui in attesa di essere deportati in Germania. Entrò poi in una formazione partigiana, la Brigata Treviglio, fino al termine della guerra.
[1] Cfr. Elenco ufficiale dei legionari fiumani depositato presso la fondazione del Vittoriale degli italiani in data 24 giugno 1939. Andrea vi è iscritto come ”Friedrick o Friedrich Andrea”.
[2] Cfr. Federico Falk a cura di, Le comunità israelitiche di Fiume e Abbazia tra le due guerre mondiali – Gli ebrei residenti nella provincia del Carnaro negli anni 1915 – 1945, https://www.bh.org.il/jewish-spotlight/fiume/.
[3] Cfr. Federico Falk a cura di, Le comunità israelitiche di Fiume e Abbazia tra le due guerre mondiali, op. cit.
[4] La madre di Nelly, Elisabetta Kamras, fu uccisa all’arrivo ad Auschwitz, il marito Luigi Kroo, internato nel campo, è deceduto ad Auschwitz dopo 27 ottobre 1944, dei figli Giuseppe è morto in evacuazione del campo dopo l’aprile 1945, Alessandro è invece riuscito a sopravvivere, dopo la guerra è emigrato in Svizzera, a Lugano, dove è morto nel 2004. Renata Einhorn, sopravvissuta ad Auschwitz, ha raccontato alla sorella Laura che un giorno un detenuto le fece segno di avvicinarsi al filo spinato che separava la parte riservata agli uomini da quella delle donne: “Io so che sei di Fiume, anch’io sono di Fiume; sono Kroo”. Ogni giorno le passava una carota o una patata che Renata non è mai riuscita a capire come potesse procurarsi. Si trattava secondo l’ing. Federico Falk, studioso della shoà fiumana, di Giuseppe Kroo. Il racconto è in Giovanni Stelli, La memoria che vive – Fiume interviste e testimonianze, Società di studi fiumani, Archivio museo storico di Fiume, Roma 2008, p. 239. Renata Einhorn è stata arrestata a Bagnacavallo (RA) il 15 aprile 1944, è giunta ad Auschwitz il16 maggio 1944 ed è stata liberata a Dachau il 29 aprile 1945, con lei sono stati arrestati anche il padre Isacco e la madre Amalia Rosenstein, entrambe uccisi all’arrivo ad Auschwitz).
[5] Cfr. Renata Broggini, La frontiera della speranza, p. 516.
[6] Cfr. Barbara Curtarelli, Ho fatto il prete – Il clero di Bergamo durante l’occupazione tedesca (settembre 1943 – aprile 1945), Centro Studi Valle Imagna, Bergamo, gennaio 2018, p. 192. Madre Angelica apparteneva alla congregazione delle Figlie della Carità, note anche come Canossiane, Treviglio non appartiene alla diocesi di Bergamo, ma di Milano.
[7] La suora “capeluna” salvò tre ebrei dai lager nazisti, L’Eco di Bergamo, 5 marzo 2003.
[8] Cfr. Federico Falk a cura di, Le comunità israelitiche di Fiume e Abbazia tra le due guerre mondiali, op. cit.
[9] Io, sedicenne, nascondevo gli ebrei nel camion per salvarli, Corriere della Sera, 27 gennaio 2006.
[10] Antonio Lombardo, Antonio Lombardo ricorda l’amico ed ex partigiano Elia Somenzi, Gazzetta d’Alba, 23 ottobre 2017. Le notizie su Elia Somenzi sono tratte principalmente da due articoli pubblicati dopo la morte di Elia Somenzi, avvenuta ad Alba il 22 ottobre 2015.
[11] Matteo Viberti, Elia, Il soffiatore di vetro che salvava gli ebrei, intervista a Elia Somenzi, Gazzetta d’Alba, 23 ottobre 2017.