La famiglia di Icek Weinberg
Sant’Omobono Imagna
Scheda di famiglia e percorso di internamento
Icek Weinberg (IG), nato a Sandomierz (Impero Austroungarico poi Polonia) il 14 maggio 1881, la moglie Laya Blonder (IG), nata a Szczepanow (PL) il 14 ottobre 1901 (altre fonti il 14 ottobre 1896[1]), e il figlio Heinrich (IG), nato a Estertrebuitz o Elsterdorf (PL)[2] l’8 aprile 1915. Giunsero in Italia a Trieste poi a Bengasi, furono internati a Ferramonti il 16 settembre 1940. Furono confinati a S. Omobono Imagna il 16 ottobre 1941 dove erano presenti all’ottobre 1943.
(Capitoli di riferimento: Gli “internati liberi” in provincia di Bergamo / Fuggiaschi e clandestini)
I Weinberger arrivati a S. Omobono avevano affittato una casa di proprietà dei signori Frosio dietro l’albergo Moderno[3]. Icek probabilmente era un rabbino, così almeno pensavano i Frosio, e il fatto che si fossero portati dalla Polonia fino a Sant’Omobono una valigia con 25 libri fa perlomeno ritenere che fossero persone di notevole cultura. Non abbiamo notizie sulla loro vita in Polonia e per quanto riguarda l’Italia, solo quelle riportate dall’Indice generale degli ebrei internati in Italia 1940-1943; possiamo supporre che siano venuti in Italia nell’imminenza o poco dopo l’inizio della guerra e abbiano partecipato, come molti altri ebrei polacchi che avevano attraversato la frontiera a Trieste, al tentativo di raggiungere la Palestina via Bengasi, tentativo fallito a causa dell’entrata in guerra dell’Italia, col successivo internamento prima in Libia e poi a Ferramonti[4].
Eurosia Frosio figlia dei proprietari della casa e dell’albergo ci racconta come sfuggirono alla cattura, nell’intervista Eurosia parla nel bergamasco della sua valle, e la versione scritta è vivacizzata da alcune espressioni in dialetto che tradurremo in nota. L’albergo Moderno, ora chiuso, era situato a metà della strada che porta dalla frazione di Selino basso alle terme di Sant’Omobono, il racconto di Eurosia ci testimonia la capacità della gente di montagna di eludere e sviare le forze impegnate nella cattura degli ebrei[5]:
Dietro l’Albergo Moderno, inoltre, avevamo un modesto appartamentino, dove tenevamo nascosta una famiglia israelita, cioè marito e moglie con un figlio. Quest’ultimo, però, rientrava solo la sera, perché durante il giorno stava nascosto nei boschi della valle. Un giorno vedo improvvisamente entrare nell’albergo un repubblichino, assieme con un tedesco, i quali mi dicono, a ragion veduta (probabilmente informati e mandati da qualche spia): “Qui sono nascosti alcuni ebrei! …”. Cercando di reagire, affrontando la situazione con dignità, ma con tanta paura dentro, ho risposto: “Sì. Ci sono. Ci sono gli ebrei.” Cose olet che ga desèss, mè[6]. Mentre però essi chiacchieravano, io ho detto a mia sorella, che si trovava poco distante: “Servi qualche cosa ai signori. Un aperitivo o quello che desiderano!”. Intanto io mi sono assentata il tempo necessario per raggiungere l’appartamento sul retro e fare capire a quelle persone (perchè i capìa negot[7]) di rimanere in silenzio chiuse nella loro stanza: “Chiudere! Carabinieri! Silenzio!”, avevo raccomandato loro. Quindi sono tornata immediatamente al banco del bar. I due militari stavano ancora consumando la loro ordinazione, quando gli ho detto: “Se volete vedere dove abitano, vi accompagno!”. E n’sè ‘ndàcc so de dré: i à essé pecàt a la pòrta, ma quèi i à mia divrìt, èh![8] Così ho colto il momento propizio per dire loro:
“Guardate che, a quest’ ora, solitamente essi vanno a Selino a fare la spesa”. Poi siamo scesi sul terrazzo del Moderno e, vedendo passare poco distante due persone abbastanza anziane, probabilmente due coniugi che stavano rientrando da Selino, ho chiesto loro: “Signori! Non avete forse incontrato un uomo e una donna per la strada? … ” “Sì, eh … – ha risposto la signora – li abbiamo incontrati proprio lì, sotto il Mulì Campagna!…” Finalmente quei militari se ne sono andati, promettendo che sarebbero ritornati. Quella famiglia di ebrei, invece, l’éra so en cà, seràda ciusa dal de dét, èh! [9] Per fortuna essi avevano compreso e attuato il consiglio, suggerito poco prima, cioè di rimanere rinchiusi in silenzio nella stanza. Passato il pericolo, sono subito corsa dal dottor Vanoncini, che le stàa ché aprov, e gh’ o dicc: “Sciùr Nino[10] …, succede così e così! Che cosa devo fare? … Come mi devo comportare.” “Nascondeteli nel bosco, in qualche stalla! Date loro un po’ di viveri e vestiti, ma non fatevi vedere da nessuno! … “Così io ho fatto, ma nel frattempo il dottor Vanoncini si è messo in contatto con suo cognato, il farmacista Ranzanici: essi hanno ritenuto conveniente, per la sicurezza di tutti, trovare una diversa sistemazione a quella famiglia.
Così hanno incaricato due uomini (ol Piéro Cassotti e ol Luigì de Cà Magnà) di accompagnarli, attraverso il fiume, fino a Ponte Giurino, e da lì sino a Berbenno, dove li ha presi in consegna il curato di quel paese, che li ha portati a Laxolo, dove sono rimasti nascosti fino alla fine della guerra. Proprio quella sera, Enrico – così si chiamava il loro figlio – rientrato dal suo rifugio nel bosco e avendo notato l’assenza dei genitori, mi ha chiesto immediatamente: “Dove sono i miei genitori? …”. “Due nostri amici, in accordo con il curato di Berbenno, li hanno portati al sicuro in una casa di Laxolo!” Gli ho risposto. Di fronte a quella notizia, pure lui ha deciso di partire, alla volta dei suoi familiari. […] Enrico l’ho rivisto solo dopo la guerra, quando è venuto a trovarmi per ringraziarmi. Lùr i ìa de Tel Aviv[11], ma non mi ricordo come si chiamavano: so solo che il padre era un rabbino.
Le carte della prefettura e i dati relativi agli internati ci consentono di dare un nome ai fuggitivi: la Questura di Bergamo in data 13 maggio 1944 trasmette al Capo della Provincia il verbale di sequestro dei beni dei Weinberg redatto dalla GNR di S. Omobono Imagna[12]:
Guardia Nazionale Repubblicana, Legione territoriale dei carabinieri di Milano, Stazione di S. Omobono Imagna
Processo verbale della perquisizione operata nell’abitazione degli ebrei Veinberg Icek fu Davide e fu Enigbaum Amalia nato a Eaudomienz il 14/5/1881 e moglie Blonder Laya in Veinberg fu Abramo e fu Zeukauser Dora, nata a Zsepernov il 14/10/1896, domiciliati a S. Omobono Imagna – Corso Italia 16 – di nazionalità polacca.
L’anno millenovecentoquarantaquattro addì 8 del mese di Marzo in ufficio di Stazione, ore 16. Noi sottoscritti Brigadiere Mussi Giovanni comandante della Stazione di S. Omobono e carabiniere Dalmeri Giuseppe della medesima riferiamo a chi di dovere quanto segue: il giorno 8 marzo 1944 verso le ore 10, in seguito ad accordi presi verbalmente con la prefettura di Bergamo, abbiamo proceduto alla perquisizione nell’abitazione in Corso Italia, del Comune di S. Omobono degli ebrei Weinberg Icek e moglie Blonder Laya meglio generalizzati in oggetto, i quali il 17 febbraio u.s. si erano allontanati per ignota destinazione, lasciando chiuso il loro appartamento, allo scopo di sottrarsi al fermo e successivo accompagnamento alle carceri di Bergamo […].
I Weinberg riuscirono a giungere indenni alla liberazione e, da quanto racconta Eurosia, emigrarono in Israele.
[1] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc. 70, GNR, Legione dei Carabinieri di Milano, Stazione di S. Omobono, verbale di sequestro dei beni.
[2] Entrambe le dizioni, la prima presente nell’IG alcuni anni fa, l’altra nell’aggiornamento attuale, non trovano corrispondenza in un comune ora esistente.
[3] Cfr. Antonio Carminati e Costantino Locatelli (a cura di), Combattenti e reduci – Diciannove racconti di vita e di guerra da Sant’Omobono Terme, Bergamo, Centro Studi Valle Imagna, Grafica Monti, 2004, pp. 59-60.
[4] Cfr. Anna Pizzuti, Gli ebrei stranieri internati in Italia provenienti da Bengasi, sul sito del CDEC al seguente indirizzo http://www.annapizzuti.it/gruppi/bengasi.php; vedi anche l’intervista a Herta Brattspies nella storia della famiglia Brattspies.
[5] Cfr. Antonio Carminati e Costantino Locatelli, Combattenti e reduci, op. cit., pp. 59-62.
[6] Dialetto bergamasco: “Cosa vuole che gli dicessi io”.
[7] Dialetto bergamasco: “Perché non capivano niente”.
[8] Dialetto bergamasco: “Siamo andati dietro: hanno assai picchiato alla porta, ma quelli non hanno aperto”.
[9] Dialetto bergamasco: “Era in casa, serrata, chiusa dal di dentro”.
[10] Dialetto bergamasco: “Che stava qui vicino, e gli ho detto: “Signor Nino”.
[11] Dialetto bergamasco: “Loro erano di Tel Aviv”.
[12] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc. 70; nella lettera della Questura il cognome Veinberg diventa Weinberg, che è probabilmente la dizione corretta.