Renato Melli e Marcella Conti
Bergamo
Scheda di famiglia
Renato Melli, nato a Ferrara il 12 dicembre 1889, coniugato con Marcella Conti non ebrea, i figli Gianna, nata a Bergamo il 13 gennaio 1922, Maria Teresa, nata a Bergamo il 6 luglio 1924, Walter, nato a Bergamo il 8 giugno 1926 e Elda, nata a Bergamo il 1 ottobre 1935.
(Capitoli di riferimento: Il censimento degli ebrei nella provincia di Bergamo / Le conseguenze a Bergamo / Fuggiaschi e clandestini / La spoliazione degli ebrei a Bergamo)
“Latte intero, genuino, Latteria Melli Renato, massima garanzia, alta percentuale di grassi, lunga conservazione” così recitava un riquadro pubblicitario su “L’Eco di Bergamo”. Renato Melli[1] era un piccolo industriale lattiero caseario, risiedeva a Bergamo dal 28 luglio 1920, ma a quella data aveva già aperto la propria azienda ed era incorso in un piccolo infortunio professionale: la Commissione annonaria gli aveva comminato il 30 maggio 1920[2] quindici giorni di chiusura. È l’unica citazione negativa delle 64 ritrovate su “L’Eco di Bergamo”. Superate le prime difficoltà Melli aveva sviluppato la sua attività con successo, conquistando una buona posizione nel settore lattiero, tanto da vincere l’appalto per la fornitura del latte all’Ospedale Maggiore di Bergamo “Principessa di Piemonte”[3], e considerazione non solo nel mondo imprenditoriale: nel settembre 1935 fu nominato membro effettivo della Commissione di prima istanza per le imposte dirette[4]. La gran parte degli articoli di “L’Eco di Bergamo” mettono però in rilievo un altro aspetto della figura di Renato Melli: il suo nome è quasi ogni anno citato fra i donatori in occasione di varie iniziative benefiche cittadine[5].
La storia di Renato Melli è emblematica non solo perché mette in evidenza le umiliazioni e le vessazioni a cui furono sottoposti gli ebrei, ma anche perché rivela quali interessi e appetiti furono messi in gioco dalla legislazione antiebraica. Le carte della Prefettura ci permettono di conoscere la consistenza dell’attività del Melli nel 1939[6]: si trattava di una piccola industria lattiero casearia, costituita da 2 aziende, una con sede in Bergamo (di trasformazione e commercializzazione di prodotti lattiero caseari, con 13/14 dipendenti), l’altra con sede in Martinengo (di produzione con 2 dipendenti); a queste si aggiungevano altre proprietà legate alla produzione agricola: i Melli possedevano terreni con case coloniche annesse anche in Urgnano, Cologno e Orio al Serio e la cascina Pedone a Spirano. Le aziende disponevano di una discreta dotazione di macchinari moderni: 6 frigoriferi, zangole, impastatrici, scrematrici, 4 autocarri.
L’azienda Melli era piccola, non arrivava a 20 dipendenti, non rientrava, per tipologia di attività e numero di dipendenti, tra quelle da cui erano esclusi gli ebrei, non abbiamo invece dati per sapere se le proprietà terriere eccedessero i limiti imposti dalla legge. La sua azienda faceva però gola all’Unione fascista degli agricoltori che, attraverso maneggi politici, minacce e intimidazioni praticate anche da importanti pubblici funzionari, lo costrinse a svenderla ad un Consorzio di Agricoltori costituito da importanti fascisti della zona di Romano e Fontanella.
Renato Melli per cercare di mettere i propri beni al riparo dalle misure economiche previste dalle leggi razziali, dopo il respingimento della domanda di discriminazione si era avvalso della possibilità offerta dal R.D.L. 9 febbraio 1939-XVII n. 126, che prevedeva all’ art. 6 “Il cittadino italiano di razza ebraica può fare donazione dei beni ai discendenti non considerati di razza ebraica […] La donazione di questi beni può essere fatta anche al coniuge che non sia considerato di razza ebraica.” e all’art. 55 “In deroga alle disposizioni di cui al precedente articolo 54, il cittadino italiano di razza ebraica può fare donazione dell’intera azienda o della quota sociale ai propri congiunti indicati nell’art. 6”[7], donando azienda e proprietà alla moglie Marcella Conti, di “razza ariana”. La donazione era stata registrata presso il notaio Giuseppe Personeni di Albino nel mese di maggio del 1939[8]: sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 278 del 28 novembre 1939 a pag. 2, nell’Elenco C di cui al R-DL 9 febbraio 1939-XVII n. 126 è così annotato:
2. Ditta “Centrale del latte di Melli Renato”, proprietario Melli Renato di Ugo, con sede in Bergamo, via F. M. Colleoni n. 7; ditta individuale per l’esercizio dell’industria e del commercio del latte e derivati, iscritta all’anagrafe commerciale delle ditte al n. 5141. Cessata per regolare donazione (atto notaio Personeni in data 2 maggio 1939-XVII, n. 117.662 di repertorio registrato il 4 maggio 1939-XVII al n. 2027) a Marcella Conti fu Enrico moglie del titolare a seguito di denuncia presentata il 29 maggio 1939-XVII.
Le contromisure prese dall’industriale per resistere alle leggi razziali e agli interessi dei fascisti locali si dimostrarono però insufficienti di fronte alla voglia di affari degli uomini del regime; lo stesso Melli raccontò cosa successe in un esposto che presentò il 19 maggio 1945 alla Prefettura di Bergamo.
Per conservare la genuinità del racconto ne riportiamo il testo integrale:
A s. Ecc. il prefetto
Il sottoscritto notificato in data 3 Aprile 1945 del decreto N. 2988 Div.1 con il quale gli si comunica l’abolizione delle leggi razziali per l’integrazione delle proprietà confiscate, innanzi tutto porge rispettosi ringraziamenti.
Inerentemente poi a quanto è disposto da detto decreto e per i provvedimenti in oggi urgenti si permette sintetizzare la sua situazione di fatto per giustificare la presente istanza:
Nell’anno 1939 dietro l’assillo delle leggi razziali l’esponente fu costretto alla cessione della propria azienda industriale e commerciale alla propria moglie Marcella Conti. Subito dopo, però ebbe sentore che alcuni fascisti stavano tramando a suo danno, e più precisamente studiavano il modo di privare anche la moglie dell’Azienda con il perfetto appoggio delle Autorità allora imperanti.
Una traccia di questa attività si riscontra anche sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 17 gennaio 1940 dove venne pubblicata una prima rettifica dell’elenco C e il punto due relativo alla provincia di Bergamo, che abbiamo riportato nel capitolo precedente, venne così sostituito:
Ditta “Centrale del latte di Melli Renato” proprietario Melli Renato di Ugo, con sede in Bergamo, via F.M. Colleoni n. 7; ditta individuale per l’esercizio dell’industria e del commercio del latte e derivati; iscritta all’anagrafe commerciale delle ditte al n. 44163: nonostante la donazione dell’azienda a Marcella Conti fu Enrico, moglie del titolare, questi deve essere considerato gestore della Azienda della moglie.
Ma i fascisti bergamaschi si accorsero di un errore che si sarebbe prestato a impugnazioni in sede giudiziaria: la donazione non poteva essere negata, era un atto valido per legge, e l’azienda aveva mutato denominazione; il Ministero, e non era, né è, usuale che un ministero sia così accondiscendente e rapido, su loro pressione procedette quindi ad una seconda rettifica che venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’11 maggio 1940 e il punto 2 venne ancora una volta sostituito:
Ditta Melli Renato – Bergamo – di Marcella Conti fu Enrico; ditta individuale per l’esercizio dell’industria e del commercio del latte e derivati; iscritta all’anagrafe commerciale delle ditte al n. 44163: nonostante la donazione dell’azienda da parte dell’ex titolare della cessata ditta “Centrale del latte di Melli Renato” alla moglie Marcella Conti, ariana, il Melli, di razza ebraica, deve essere considerato gestore dell’azienda della moglie.
Ma proseguiamo con il racconto di Renato Melli[9]:
Per correre ai ripari e per tentare di salvare dalla rovina la propria famiglia e impedire di essere privato delle attività faticosamente conquistate in 25 anni di costante, indefesso lavoro, come è noto a tutta Bergamo, si escogitò di fare una cessione dal lato puramente formale dell’azienda alla S. An. Egidio Galbani di Melzo, ditta che legata da vincoli di amicizia coll’esponente si prestò di buon grado a dare la sua etichetta mediante una combinazione che ebbe praticamente vita nell’anno 1942; senonché appena si stava iniziando questa nuova formale gestione, l’Unione fascista degli Agricoltori, capeggiata dal Con. Naz. Fabio Allegrini formò un comitato composto dalle persone più sotto indicate per impedire lo svolgimento dell’attività commerciale e con appoggi politici malgrado i precisi divieti di costituire nuove aziende specie alimentari, si formò coattivamente un Consorzio di Agricoltori che si mise a brigare per avere di diritto l’Azienda della Sig. Marcella Conti, già passata alla Galbani. Le pressioni permeate anche da minacce vennero fatte dal famigerato Federale Gallarini[10] e compagni alla sede della Federazione Politica, dal Questore di allora Pumo[11] e dal Prefetto Giannitrapani[12], che operarono illegalmente con decreti di requisizione e minacce verso la Sig. Conti se non avesse annuito a cedere. Fecero parte della suddetta combinazione, oltreché l’Ing. Fabio Allegrini attualmente latitante, il Rag. Ceccarelli braccio destro di Gallarini, Bontempelli Giovanni dell’Unione Agricoltori, ora carcerato, lo squadrista Antonio Arnoldi podestà e segretario politico di Fontanella, col cognato squadrista Carlo Pizzoccheri di Fontanella, lo squadrista, sciarpa littorio Dante Bietti di Fontanella, il fascista Alberto Finazzi di Romano, fratello del Podestà, ora in carcere, il direttore della Latt. Soc. di Romano Ottolini implicato in losche sottrazioni di prodotti caseari, e salvato a Roma dall’Allegrini, e poi altri ancora della medesima marca. Dapprima nella sede della Federazione Politica locale, di poi a Roma si infirmò l’operato della Galbani. L’Allegrini fece pervenire al Ministero della Agricoltura, dove imperava, la Galbani e i Signori elencati dove attraverso il Sottosegretario si costrinse la Galbani a recedere dalla combinazione legalmente già perfezionata e a consegnare l’Azienda Conti al Consorzio Agricoltori contro il rimborso di una misera somma che non copriva che il terzo dei valori delle cose e dell’avviamento. Immediatamente poi il Prefetto di allora emanò un decreto in base al quale venivano requisiti quattro autocarri di proprietà dell’esponente, stabilendone la consegna coattiva al Consorzio a un prezzo che costituiva un quarto del valore corrente nell’epoca. Le minacce contro l’incolumità del sottoscritto e della di lui Signora qualora non si fosse accondisceso alla cessione voluta dal prefetto, vennero fatte direttamente dal Questore Pumo nel di lui gabinetto. Al sottoscritto fu dichiarato che solo nel caso avesse firmato poteva garantire la incolumità personale. Non bastando tutto questo vennero anche coattivamente occupati i locali in locazione all’esponente per vari mesi, svolgendo la stessa attività di distribuzione del latte nella città e provincia. Il Consorzio Latte presieduto inizialmente dal Sig. Dante Bietti, dopo il 25 Luglio venne presieduto dal Sig. Domenico Venier che politicamente non era compromesso, dopo l’8 Settembre però i vecchi soci che erano rimasti nell’ombra riaffiorarono e l’esponente in seguito a informazioni segrete avute, dovette emigrare in Svizzera abbandonando famiglia e beni pur di avere salva la vita.
In seguito degli avvenimenti sopra esposti il Consorzio Produttori Latte rimase padrone della situazione, e della Azienda dall’esponente sviluppata con un lavoro indefesso per 25 anni e precisamente da quando venne smobilitato dopo la guerra 15-18. Da questo stato di cose si iniziò così in forma monopolistica la gestione del Consorzio il quale padrone assoluto del mercato e della situazione aveva asservito l’Ufficio Latte della Zootecnia, presieduto da Allegrini, l’Ufficio Alimentazione con a capo Ceccarelli, che con facilitazioni di ogni genere potenziò e aiutò il Consorzio specie per l’appoggio che il Ceccarelli fece avere dal colonnello Negri fiduciario del Prefetto Giannitrapani.
In quell’epoca ancora il Podestà Vitali[13] (anno 1943) si accanì a sua volta contro la Ditta dell’esponente per impedire che avesse a svolgere anche la modesta ridotta attività di vendita al minuto che era rimasta, e questo a mezzo del Sig. Brighenti, altro squadrista ben noto a Bergamo per i suoi abusi e soprusi, il quale giunse al punto di far sequestrare i ridotti mezzi di trasporto a traino animale, inibendo così completamente la distribuzione del latte a domicilio. Il Podestà ancora non del tutto soddisfatto, concluse illegalmente un impegno di esclusività di vendita, si noti bene, a favore del Consorzio in netto contrasto con le disposizioni di legge in allora e successivamente vigenti. Con questo modo di procedere si spogliò il ricorrente e dell’Azienda e di ogni mezzo per condurre anche il ridottissimo commercio latte senza tanti scrupoli, sicché l’esponente per cercare di salvaguardare la licenza commerciale fu costretto a tenere aperto vendendo al dettaglio in luogo pochi ettolitri di latte al giorno in attesa di tempi che dovevano sorgere migliori. La profezia si è avverata perché la giustizia brilla sull’orizzonte sicché l’istante in attesa che la Commissione esamini la situazione che si venne a creare della sua Azienda, e prenda i provvedimenti relativi che non possono non essere di piena integrazione del suo diritto di proprietà disconosciuto per tutti i subdoli mezzi usati, essendo urgente intanto provvedere affinché l’azienda e il servizio che è delicatissimo non subisca danni né il servizio abbia a soffrirne, fa istanza e
CHIEDE
affinché si abbia a dichiarare decaduto l’intero Consiglio di Amministrazione del Consorzio Produttori Latte Bergamo e in sua vece sia nominato un Commissario per la gestione, amministrazione e presa di possesso di tutte le attività mobiliari del Consorzio Produttori Latte di Bergamo con ogni facoltà inerente, compresa quella di nominare professionisti per le necessità amministrative, tecniche e giudiziali, Commissario che riceverà dalla gestione del Consorzio tutte le consegne di tutto ciò che costituì e costituisce l’azienda avuta in cessione dalla Galbani, impregiudicati i diritti del ricorrente in base alla abrogazione avvenuta delle leggi razziali.
Bergamo 19/5/45 (firma autografa di Melli Renato).
Dopo l’8 settembre la situazione per i Melli si fece ancora più pesante, Renato e il figlio Walter, non ebreo, ma a rischio di arruolamento di leva nell’esercito della RSI, decisero di tentare la fuga e riuscirono a raggiungere la Svizzera[14]; ricorda la figlia Elda[15]:
A proposito della fuga di mio padre Renato e di mio fratello Walter (che era in età di arruolamento), mia madre ha accompagnato i miei alla frontiera e li ha affidati ad uno spallone per passare la frontiera vicino a Chiavenna. Fu pagato un alto prezzo per il passaggio. Nel periodo di esilio i miei vissero a Viganello di Lugano presso una famiglia (di cui non ricordo il cognome e la locazione precisa) a pagamento (penso con una cifra iniziale e poi con successivi pagamenti). Ricordo anche che, in quel periodo, due fratelli avvocati Pezzotta[16] di Bergamo erano sfollati a Lugano per motivi politici. Mia madre inviava il denaro tramite un macchinista ferroviario (Sig. Pozzi) della linea che andava a Lugano e nascondeva, sotto il fischio della locomotiva, le banconote piegate in molte piccole parti.
Marcella Conti e le figlie, non ebree, erano invece rimaste a Bergamo. Tracce della fuga in Svizzera emergono dalle carte della Prefettura. Nell’esposto che racconta la sua vicenda Renato Melli dichiara come la sua fuga non fu dettata solo da un problema razziale: i fascisti che l’avevano privato dell’azienda erano ansiosi di saldare il conto una volta per tutte “Dopo l’8 Settembre però i vecchi soci che erano rimasti nell’ombra riaffiorarono e l’esponente, in seguito a informazioni segrete avute, dovette emigrare in Svizzera abbandonando famiglia e beni pur di avere salva la vita[17].”
Ricorda ancora Elda Melli:
Ero molto piccola, una mattina presto, mentre dormivo, entrò in camera mia un uomo in divisa scura con stivali neri che guardò in tutta la casa e perfino sotto i letti. I miei erano già fuggiti qualche giorno prima.
Ma la storia dell’azienda e dei beni di Renato Melli non si ferma con la sua fuga in Svizzera, la RSI vuole anche i beni che sono rimasti alla sua famiglia. A Bergamo però era rimasta la moglie, Marcella Conti, è lei la protagonista di questi avvenimenti, molto interessanti per comprendere le dinamiche e la mentalità dell’apparato statale e fascista della RSI.
Ricordiamo che Renato Melli aveva provveduto a donare alla moglie “ariana” Conti Marcella l’Azienda Commerciale Industriale del Latte e Derivati denominata Ditta Melli Renato, con magazzino in Via Colleoni in Bergamo e Via Circonvallazione in Martinengo; la donazione comprendeva l’intera Azienda con tutti i relativi impianti, macchinari, attrezzi, automezzi, carri, quadrupedi, conservando la denominazione di Melli Renato; un secondo atto in data 4 maggio 1939 provvedeva alla donazione della nuda proprietà dei beni immobili in Comune di Orio al Serio, in Comune di Urgnano e in Comune di Cologno al Serio.
Dopo la fuga di Renato a Bergamo rimasero la moglie, i figli minori e ovviamente i beni immobili. Erano questi i beni che l’Intendenza di Finanza segnalò alla Prefettura assieme alle proprietà personali di Marcella Conti. Il relativo decreto di confisca porta il numero di protocollo 4737 in data 3 marzo 1944[18], ad esso segui il decreto di confisca dei beni immobili di Marcella, il n. 5802 in data del 21 marzo 1944[19].
Le confische non riguardavano i soli beni immobili, ma anche alcuni beni mobili e finanziari.
Marcella era una donna dal forte carattere e si attivò con due ricorsi contro i decreti di confisca, uno in data 5 marzo 1944 e l’altro in data 20 giugno 1944. Marcella respinse anche un tentativo di concussione da parte di un impiegato e di un delegato della prefettura denunciandoli ai loro superiori e questi alla Questura per le relative indagini.
Vi è inoltre un esposto in data 25 marzo 1944 relativo all’asportazione della vettura Lancia Aprilia targata 8188 BG ad opera di tre militi della GNR, che, essendo priva di gomme, avevano utilizzato altri pneumatici giacenti in luogo e utilizzati come scorta per il camioncino per il trasporto del latte. La vettura rientrava fra i beni donati dal marito, anche se non era stata poi fatta la variazione di proprietà. Il ricorso contro le confische effettuate con decreto n. 5802 in data 21 marzo 1944 trovò presto risoluzione, in quando i beni erano di proprietà della signora Conti, “ariana” e non derivanti dalla donazione, il decreto di confisca fu revocato il 3 maggio 1944. Diverso invece fu l’iter dei decreti sui beni frutto della donazione del marito; val la pena seguire l’iter di questa pratica che costituisce un valido esempio del carattere assunto dalla politica antisemita della RSI in quanto mostrano uno scontro tra le ragioni del diritto amministrativo e privato e le ragioni della dottrina razziale.
L’Intendenza di Finanza, incaricata di verificare la posizione dei beni Conti-Melli riscontrò la sostanziale esattezza di quanto sostenuto dalla Sig.ra Conti, ad eccezione di quanto riguardava un’automobile, di cui non era stato effettuato il passaggio di proprietà ed era rimasta intestata al marito, e di un certo numero di azioni nominative. La vettura e le azioni rimasero quindi confiscate.
La disanima dell’Intendenza di Finanza tiene anche conto delle nuove disposizioni legislative, il D. L. del Duce 4 Gennaio 1944-XXII n. 2 all’art. 6 prescriveva tra l’altro:
Su proposta dell’Intendente di Finanza, il Capo della provincia può dichiarare nulle, con apposito decreto, le donazioni avvenute ai sensi dell’art. 6 del decreto legge 3 febbraio 1939, n. 126, nonché gli atti di trasferimento di beni di pertinenza ebraica conclusi anteriormente al 1 dicembre 1943, qualora, da fondati elementi, le donazioni ed i trasferimenti risultino fittizi e fatti al solo scopo di sottrarre i beni ai provvedimenti razziali.
La relazione dell’Intendente Di Pietrantonio[20] in data 8 agosto 1944[21], dopo aver elencato gli estremi e i beni oggetto della donazione argomentava:
Per quanto riguarda l’indagine intesa ad accertare se risultino fondati elementi da cui dedurre che gli atti di donazione siano fittizi e fatti al solo scopo di sottrarre i beni suddetti ai provvedimenti razziali, si precisa: gli atti di donazione sono stati fatti ai sensi degli art. 6 e 55 della Legge 9 febbraio 1939 N. 126 e quello di cui alla lettera A) (4/51939 N. 11579/6276) venne ritenuto valido con attestazione dell’Intendenza di Finanza 23/11/1939 N. 17565.
Poter, a distanza di 5 anni, stabilire che il Melli si sia valso delle facoltà concessa dai detti articoli di Legge per sottrarre i beni ai provvedimenti razziali, oppure per fare unicamente atto di liberalità alla moglie indipendentemente dalla Legge, non è agevole. La presunzione sarebbe comunque sfavorevole al Melli, perché, evidentemente, per avvalersi in quel momento della facoltà di donare alla moglie concessagli dalla Legge, doveva avere lo scopo di sottrarsi alla Legge razziale.
Tutto ciò rientra però nel campo intenzionale e subiettivo.
E dopo una disanima della posizione dei singoli beni confiscati concludeva:
Riassumendo: Per le ragioni sopraesposte queste Intendenza riterrebbe di considerare validi gli atti di donazione fatti dall’ebreo Melli Renato alla propria moglie di razza ariana Conti Marcella ed indicati con le lettere A) e B) del paragrafo primo della presente, non risultando elementi fondati da cui dedurre che tali atti di donazione siano fittizi o fatti al solo scopo di sottrarre i beni ai provvedimenti razziali. Di conseguenza, i Decreti Prefettizi n.4532 del 26/2/44; n.4537 del 3/3/44; e n. 4737 del 17/5/44, poiché porterebbero la confisca di beni mobili di proprietà della cittadina italiana di razza ariana Conti Marcella, dovrebbero essere revocati. Analogamente dovrebbe essere revocato il Decreto Prefettizio n.4737 del 22/3/44, per le stesse ragioni, ad eccezione dei beni indicati al n.5 del Decreto stesso e cioè n. 167 Azioni della Banca Mutua Popolare di Bergamo, risultate effettivamente di proprietà dell’ebreo Melli Renato e pertanto soggette a confisca. Inoltre, poiché l’ebreo Melli Renato nel fare atto di Donazione alla propria moglie Conti Marcella dei beni immobili descritti nell’atto stesso (4/5/1939 N. 11579/6276), si è riservato il diritto di usufrutto vitalizio sui beni stessi, si ritiene, per quanto la legge 4/1/I944 non lo dica espressamente, che tale usufrutto possa essere soggetto a confisca.
Vedrà codesta Prefettura se, nel silenzio della legge, sia il caso di dare applicazione alla legge suddetta sull’usufrutto vitalizio dell’ebreo Melli, tenendo conto di quanto segnalato nella lettera d) del Paragrafo 3° della presente.
Il Capo della Provincia, che ora era Vecchini, non ritenne però di poter decidere e chiese pertanto il parere del Ministero delle Finanze, che non condivise le conclusioni dell’Intendenza di Bergamo.
Vale la pena leggere il testo della lettera del 14 settembre 1944 prot. 25935/B indirizzata alla Prefettura Repubblicana di Bergamo:
Oggetto: Beni ebraici – Melli Renato e Conti Marcella in Melli.
[…] Si pone pertanto il problema se tali donazioni (atti 2 e 4 maggio 1939 per notar Personeni) possano essere dichiarate nulle con decreto da emettersi a’ sensi e per gli effetti dell’art. 6 del D.L. 4 Gennaio 1944 – XXII, n. 2. Codesta Prefettura, sentita la locale Intendenza di Finanza, pare sia di parere contrario, non ritenendo che nel caso in questione ricorrano gli estremi stabiliti dalla citata disposizione; questo Ministero, peraltro, pur apprezzando le considerazioni svolte a tale riguardo, non può fare a meno di richiamare l’attenzione sulle seguenti circostanze. Sta di fatto che la donazione dell’azienda venne fatta dal Melli alla moglie, almeno secondo quanto risulta dal foglio in riferimento, conservando la denominazione della ditta, mentre la donazione dei beni immobili venne dallo stesso fatta con riserva del diritto di usufrutto. Inoltre sembra che, per quest’ultima donazione, non fu operata a suo tempo neanche la prescritta voltura dei beni ad essa relativi, dato che l’Intendenza di finanza di Bergamo, nella denunzia addì 8 marzo c.a. seguita dal decreto di confisca n. 4737 in data 22 marzo successivo di codesta Prefettura, non ha fatto cenno alcuno al nome della donataria indicando invece soltanto quello di Melli Renato di Ugo e ciò evidentemente in base alle risultanze catastali. Ciò stante bisognerebbe accertare, per poter decidere a ragion veduta in merito alla validità delle donazioni in parola, quale sia stata l’ingerenza del Melli nell’azienda da lui donata con riserva d’usufrutto alla moglie, e quale invece la vera posizione di costei. Giova a tale scopo, tener ben presente che le donazioni eccezionalmente consentite dagli articoli 6 e 55 del D.L. 9 Febbraio 1939 si ripromettevano di eliminare “di fatto” e non soltanto “di nome” gli ebrei dalla vita delle aziende e dalla proprietà di beni immobiliari, consentendo loro, per motivi di equità, di venire incontro spontaneamente a tale intento del legislatore favorendo il proprio complesso famigliare. Si prega, di conseguenza, codesta Prefettura di rivedere il proprio punto di vista nel senso sopra esposto [..].
IL MINISTRO (firma autografa illeggibile)
La stessa lettera fu usata da Vecchini come minuta per l’inoltro all’Intendenza per il riesame della pratica. L’Intendente però non mutò parere, dopo aver incaricato la Guardia di Finanza delle ulteriori opportune indagini, ed aver accertato che la voltura dei beni era stata regolarmente eseguita (a quanto sembra i problemi di aggiornamento del catasto non datano da oggi), il 12 novembre 1944 rispose al Capo della Provincia e, dopo aver esaminato punto per punto le obiezioni del Ministero delle Finanze e svolte punto per punto le proprie obiezioni, ribaltando le ragioni opposte dal ministero, l’intendete Di Pietrantonio così concluse:
Tutto ciò considerato, non si ritiene esisterebbero “fondati elementi” richiesti dalla legge per annullare gli atti di donazione fatti dal Melli alla propria moglie Conti Marcella. Gli elementi raccolti sono puramente indiziari e nella valutazione di essi non si potrebbe non tener presente anche le suaccennate ragioni favorevoli alla parte.
È da ricordare che la legge prevedeva che le donazioni potessero essere annullate “su proposta dell’Intendenza di Finanza”. Le conclusioni dell’Intendenza vennero trasmesse al Ministero delle Finanze, che in data 29 gennaio 1945 così rispose:
[…] si comunica che questo Ministero, esaminate le considerazioni ivi esposte, che sconsiglierebbero l’applicazione nei confronti delle donazioni di cui trattasi, dell’art. 6 del D.L. del Duce 4/1/1944, n° 2, non può condividere il punto di vista espresso da codesta Prefettura. Nel caso in esame, infatti, non si ravviserebbe quel “reale e definitivo spossessamento dell’ebreo donante” che potrebbe far escludere il tentativo di elusione dei provvedimenti razziali sussistendo invece varie circostanze che starebbero a dimostrare il contrario. (Conservazione della ragion sociale dell’azienda – Assistenza tecnica prestata dal Melli nella direzione della stessa fino al determinarsi di avvenimenti che fecero presumere l’emissione di nuovi provvedimenti razziali – Riserva dell’usufrutto dei beni immobili e loro amministrazione, fino alla data del suo allontanamento). Ricorrendo pertanto nella fattispecie, a parere di questo Ministero, gli estremi per l’applicazione dell’art. 6 del citato decreto, non pare possa farsi luogo alla revoca dei decreti di confisca di cui trattasi.
Peraltro, trattandosi di famiglia mista, codesta Prefettura potrà esaminare l’opportunità dell’applicazione delle disposizioni di carattere equitativo di cui al paragrafo 1 lett. d) della circolare n° 47 del 13 maggio 1944 e tramutare i provvedimenti in parola in altri a carattere cautelativo in attesa delle annunciate disposizioni di legge in materia di beni appartenenti ad ebrei coniugati con ariani. Si rimane in attesa di conoscere le determinazioni adottate al riguardo.
IL MINISTRO (firma autografa illeggibile)
Il 29 marzo 1945 ancora il Ministero delle Finanze con nota in risposta al foglio del 10 febbraio 1945 della Prefettura, che non abbiamo reperito, ma che sembra aver proposto una mediazione per uscire dallo stallo, precisò ulteriormente:
Con riferimento alla nota sopra distinta si fa rilevare l’incompatibilità delle mansioni di sequestratario che si dovrebbero affidare alla Sig.ra Conti Marcella in Melli con gli interessi che legano la stessa ai beni di cui trattasi. Si consiglia pertanto di affidare l’incarico in parola a persona meglio qualificata a garantire gli interessi dello Stato.
IL MINISTRO (firma autografa illeggibile)
Non fu il Capo della Provincia Vecchini, ma il Prefetto del nuovo Stato nato dalla Resistenza a scrivere la parola fine alla pratica Melli-Conti con decreto n. 2988 in data 30 aprile 1945:
Considerata la cessazione della tirannide nazifascista e delle leggi razziali.
Visto i decreti del cessato Capo della Provincia n. 4532 – 4737 – 2983 del 26.2.44 – 21.3.44 – 26.1.45 con il quale venne disposta la confisca dei beni già presso l’interessato ai danni del cittadino MELLI RENATO di Ugo residente a Bergamo, via Colleoni 10
DECRETA
1) Il Decreto di cui alle premesse n. 4532 – 4737 – 2983 è revocato con effetto immediato.
Le carte della Prefettura ci mostrano un’altra faccia interessante della persecuzione economica degli ebrei, quella dei profittatori: oltre agli uomini del regime che erano tornati alla guida dell’azienda Melli, ad altri si offriva ora lo spazio per far denaro in proprio a spese dei perseguitati.
Marcella Conti aveva presentato più ricorsi contro i decreti di confisca, chiedendone l’annullamento in quanto i beni appartenevano per donazione a lei, “ariana”. Nel fascicolo a lei intestato tra le carte della Prefettura all’archivio di Stato sono contenute anche carte che documentano un tentativo di concussione operato nei suoi confronti. Marcella Conti, donna di forte carattere, sembrò accettare, ma poi si rivolse al vice intendente di finanza dott. Bocelli D’Alessandro denunciando l’accaduto. Il dott. Bocelli ne parlò con il primo segretario della Prefettura dott. Bellazzi, e poi accompagnò la signora Conti in Prefettura. Marcella ripeté la sua denuncia al dott. Bellazzi e al viceprefetto dott. Frongia, confermando quanto già detto al vice intendente. Il 22 giugno 1944, previe alcune indagini personali, il dott. Bocelli relazionò l’Intendente dell’accaduto e delle sue indagini in merito[22].
L’Intendente Di Pietrantonio il 26 giugno 1944 scrisse al Capo della provincia una lettera riservata e personale relazionandolo sulla denuncia della signora Conti Marcella, lasciando per competenza, essendo i decreti di confisca atti della Prefettura e non dell’Intendenza, le decisioni sulla sussistenza della denuncia. Il Capo Provincia chiese analoga relazione al dott. Bellazzi e il 12 luglio 1944 trasmise la denuncia alla Questura. Il 16 agosto 1944 la Questura, dopo aver esperito indagini ed interrogatori, che mettevano in evidenza che più che concussione si era trattato di un tentativo di estorsione tramite millantato credito, inviò la seguente relazione alla Procura di Stato, non essendo a conoscenza di una sentenza a loro carico, indichiamo gli attori del presunto reato con le semplici iniziali:
La signora Conti Marcella fu Enrico e fu Silvestri Teresa, nata a Massolongo, (Lodi) il 16 Gennaio 1893, domiciliata a Bergamo in via B.M. Colleoni n.9, moglie dell’ebreo Melli, nel giugno u.s. si è presentata all’Intendente di Finanza, dott. Bocelli, per chiedere chiarimenti in merito ad una vertenza al sequestro dei beni immobiliari, effettuato a mente del Decreto 4 Gennaio 1944 n. 2, nei di lei confronti, con decreto 22 Marzo 1944 n. 5802 del Capo della Provincia di Bergamo, decreto poi revocato con provvedimento del 3 Maggio 1944 n. 5802 essendo emerso che la Signora Conti Marcella è cittadina Italiana di razza ariana.
In questa occasione, la Signora Conti dichiarava al V. Intendente di Finanza dott. Bocelli che da parte del suo amministratore, Rag. G., Vice Direttore della Banca Piccolo Credito Bergamasco, le era stata richiesta una forte somma di denaro (qualche centinaia di migliaia di lire, ridotte poi a £ 50.000[23]) quale compenso da distribuire a funzionari, per prestazioni straordinarie intese ad ottenere l’emissione del sopracitato decreto di revoca di sequestro. Detta somma di £ 50.000, sempre per affermazione della Conti, messa a disposizione del Rag. G. sarebbe stata alla stessa Conti restituita in quanto il G. era venuto a conoscenza che la Conti ne aveva fatto parola col Vice Intendente.
Allo stesso Vice Intendente Dott. Bocelli, la Signora Conti precisò che circa la destinazione del compenso, ne erano a conoscenza soltanto il Rag. G., il Rag. L. ed un giovane funzionario dell’Intendenza di Finanza col pizzetto al mento.
Il Dott. Bocelli, essendosi recato in Prefettura per conferire in merito a pratiche di ebrei, riferiva quanto sopra al I° segretario Dott. Bellazzi e quindi, con una relazione scritta, all’Intendente. La Signora Conti Marcella invitata in Prefettura conferiva alla presenza del Dr. Giovanni Frongia, Vice Prefetto, e del Dott. Bellazzi quanto aveva dichiarato al Vice Intendente, precisando che, verso i primi di giugno era stata invitata alla sede della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde e dal direttore della stessa, Rag. L. era stata informata che era stato emesso dalla Prefettura un decreto di confisca a favore dello Stato dei beni mobili e immobili a lei donati dal marito ebreo. Il Rag. L. le avrebbe promesso il suo interessamento per la revoca del decreto, accennando all’opportunità, in caso di buon esito, di compensare, mediante una modesta somma, per persone che avrebbero influito sul provvedimento.
Successivamente detto compenso sarebbe stato fissato in £ 50.000, il rag. G. avrebbe accennato ad un funzionario dell’Intendenza col pizzetto. Tale dichiarazione è stata assunta a Verbale (all. N.1°).
La Prefettura trasmetteva quindi, gli atti raccolti ed interessava questa Questura per le indagini e provvedimenti del caso. La Signora Marcella Conti ha nuovamente confermato la dichiarazione resa al Vice Intendente e successivamente raccolta a verbale dal Dott. Bellazzi, alla presenza del Vice Prefetto Frongia.
A dire della Signora Conti, la cifra di £ 50.000 le era stata richiesta dal Rag. G., il quale le aveva detto che tale somma era stata a lui richiesta dal Rag. L. – (all. N. 2).
Il Rag. G. (seguono i dati identificati personali ndr), V. Direttore del Piccolo Credito Bergamasco ha dichiarato di aver svolto interessamento a favore della Signora Conti, circa la pratica suddetta. Ha escluso che il Rag. L. abbia parlato di compensi, ed ha asserito di aver richiesto spontaneamente alla Signora Conti, non appena informato della esistenza di un decreto di revoca del provvedimento di confisca, la somma di £ 50.000 allo scopo di compensare qualcuno di quelli che si erano adoperati con maggiore interesse per il buon esito della pratica. Avendo poi accertato che nessuna persona aveva spiegato particolare opera, aveva restituito la somma alla Signora Conti (All. N.3).
Il Rag. L. (seguono i dati identificati personali ndr), Direttore della Cassa di Risparmio Filiale di Bergamo e come tale “delegato alla gestione ed Amministrazione dei beni di provenienza ebraica”, ha solo ammesso che la Signora Conti e non lui aveva spontaneamente detto che era disposta a compensare qualcuno che si fosse prestato, in maniera particolare ad assistere nella sollecita definizione della sua pratica. Al che il L. avrebbe risposto che a tempo debito si sarebbe esaminata l’opportunità di dare compensi per eventuali lecite prestazioni straordinarie. ( All. N. 4)
Sia il G. sia il L. hanno escluso di aver fatto parola di funzionari e tanto meno di un funzionario dell’Intendenza col pizzetto, all’Intendenza di Finanza esiste effettivamente un impiegato avventizio con pizzetto, tale T. (seguono i dati identificati personali ndr), il quale era addetto all’Ufficio del Vice Intendente Dott. Bocelli al quale è demandata la trattazione delle pratiche inerenti gli ebrei. Il Dott. Bocelli nulla ha accertato a carico di detto impiegato il quale peraltro non avrebbe per nulla potuto influire sulla pratica Conti-Melli.
Le indagini svolte da questo Ufficio per accertare l’eventuale responsabilità del T., hanno dato esito negativo. Alla stregua dei fatti suesposti è chiaro che alla Signora Conti fu prospettata dal Rag. L. e dal Rag. G. l’opportunità di dare compensi, e dal G. addirittura fissata la somma di £ 50.000, in ché integra l’ipotesi non di compensi onesti, per quanto nessun compenso sia dovuto e possano accettare pubblici dipendenti e impiegati come vuol dare ad intendere il L., bensì l’ipotesi di un vero mercato di illecite e criminose intromissioni. In effetti, però la pratica non poteva avere che un regolare e tassativo corso, e doveva essere definita dalla Prefettura. Il reato di millantato credito, commesso, di concerto, dai Ragionieri G. e L. pare quindi chiaramente configurabile. La somma di £ 50mila già versata dalla Conti fu alla stessa restituita dopo qualche giorno, cioè dopo che i predetti G. – L., accertarono che il decreto di revoca del provvedimento di confisca si riferiva soltanto ai beni patrimoniali della Signora Conti ariana e non pure a quelli alla stessa donati dal marito e per i quali la pratica è tuttora in corso di trattazione. Si denunziano pertanto, piede libero, per trascorsa flagranza, i Ragionieri L. e G. per rispondere del reato di millantato credito e si allegano i 4 verbali sopraccitati, nonché una relazione in data 22 Giugno 1944 XXII° dal Vice Intendente Dott. Bocelli, indirizzato all’Intendente di Finanza.
IL COMMISSARIO DI P.S. Fto. (Illeggibile)
Per copia conforme Bergamo 24 Agosto 1944 – XXII° Il Segretario.
Non sappiamo come l’inchiesta sia proseguita né se sia arrivata a qualche conclusione, le carte della Prefettura si fermano a questa relazione.
[1] Renato Melli giunge a Bergamo da Ferrara il 28 luglio 1920, di sposa Marcella Conti a Milano il 6 gennaio 1921; muore a Bergamo il 25settembre 1958.
[2] Cfr. Provvedimenti della Commiss. Annonaria Provinciale, L’Eco di Bergamo 31 maggio 1920.
[3] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc. 40, lettera al Capo della Provincia dell’Ospedale Maggiore ” Principessa di Piemonte”, prot. gen. n. 3008 in data 8 febbraio 1944.
[4] Cfr. La nuova commissione di prima istanza per le imposte dirette, L’Eco di Bergamo 28 settembre 1935.
[5] Gli estremi degli articoli non vengono riportati per il numero eccessivo, una trentina, e lo scarso rilievo del contenuto: di Melli compare solo la citazione di cognome e nome nell’elenco dei donatori.
[6] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc. 40.
[7] R.D.L. 9 febbraio 1939 n. 126, art. 55: In deroga alle disposizioni di cui al precedente articolo 54, il cittadino italiano di razza ebraica può fare donazione dell’intera azienda o della quota sociale ai propri congiunti indicati nell’art; 6, salvi i diritti spettanti per legge o per contratto agli altri soci non considerati di razza ebraica. Per compiere tali donazioni non sono richieste le autorizzazioni di cui agli articoli 58 e 63.
[8] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc. 40, lettera alla Prefettura Repubblicana dell’Intendenza di Finanza di Bergamo, in data 8 agosto 1944.
[9] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc. 40.
[10] Gino Gallarini, nato a Milano il 24 luglio 1904, fascista della primissima ora, deputato alla Camera dei fasci e delle Corporazioni dal 23 marzo 1939 al 02 agosto 1943. Fu segretario federale di Bergamo del PNF dal 29 maggio 1941 al 1 aprile 1943. Aderì alla RSI a fu nominato capo provincia a disposizione presso il ministero dell’interno.
[11] Giuseppe Pumo, nato a Palermo il 18 gennaio 1895, questore a Bergamo dal 1938 al 19 luglio 1943, poi a Savona fino al 18 gennaio 1944. Fu processato dalla Corte di Assise Straordinaria di Savona per collaborazionismo e per correità nell’eccidio di sette patrioti italiani fucilati il 27 dicembre 1943, amnistiato il 27 agosto 1946.
[12] Luigi Giannitrapani, nato a Palermo il 20 gennaio 1887, prefetto di Bergamo dal 10 settembre 1942 al 10 ottobre 1943, collocato a disposizione dal governo della RSI e in seguito anche dal governo italiano. Muore a Brescia 14 ottobre 1952.
[13] Carlo Vitali, che dopo il 25 luglio era stato sostituito da Sereno Locatelli Milesi, ridiventò podestà il 17 settembre 1943. Rimase in carica solo tre giorni, poi si dimise per ragioni di salute.
[14] Cfr. Renata Broggini, La Frontiera della speranza, Gli ebrei dall’Italia verso la Svizzera 1943-1945, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1998, p. 474.
[15] Lettera via e-mail della signora Elda Melli, figlia di Renato e Marcella Conti. Elda è nata a Bergamo l’1 ottobre 1935 e aveva all’epoca otto anni.
[16] Dovrebbe trattarsi di Giacomo Pezzotta, che poi diventerà sindaco di Bergamo, e del fratello Luciano.
[17] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc. 40.
[18] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc 40.
[19] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc 10.
[20] Disponendo solo del cognome non siamo certi che si tratti della stessa persona, un Di Pietrantonio dr. Cav. Luigi è citato quale appartenente all’amministrazione finanziaria dello stato nell’Annuario Generale d’Italia dell’anno 1935, vol. primo.
[21] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc 40. Sono contenuti nello stesso fascicolo tutti gli atti di seguito citati.
[22] ASBg, Gab. Pref. b.e. 1, fasc. 10. Le carte, sono tutte conservate in questo fascicolo.
[23] La somma di lire 50.000 del 1944 corrisponde a circa 38.000 € attuali, una cifra pari allo stipendio annuo lordo di un quadro statale di medio livello, incompatibile con quello che sarebbe costato lo straordinario degli impiegati dell’intera Prefettura; a termine di paragone possiamo prendere la pensione di circa 10.000 lire annue lorde di Ezio Orefice, preside in pensione.