Israelovici Asriel e la sua famiglia
Branzi – Roncobello
Scheda di famiglia e di internamento
Asriel Israelovici[1] (IG), nato a Braila (RO) il 25 agosto 1896, con la moglie Ryfka Schmaya (IG), nata a Wolowad (PL) l’1 ottobre 1906, e i figli Ella (IG), nata a Berlino il 19 settembre 1933, e Leo (IG), nato a Berlino il 18 aprile 1931; giunti in Italia a Trieste poi a Milano. Asriel fu internato il 7 agosto 1940 a Notaresco (TE), riuscì a ricongiungersi alla famiglia, che era stata internata a Ferramonti, il 21 febbraio 1941. Giunti a Bergamo il 14 ottobre 1941, furono confinati prima a Ponte Nossa[2] e poi a Branzi; in ospedale a Bergamo l’8 maggio 1942 nacque Isacco[3]; a Branzi erano presenti al 30 novembre 1943.
Leja Gestenfeld (IG), nata a Skrysrov (PL) il 5 giugno 1914, internata a Casacalenda (CB). Giunse a Bergamo il 7 febbraio 1942 e fu confinata a Branzi dove era presente al 29 giugno 1943.
(Capitoli di riferimento: Gli “internati liberi” in provincia di Bergamo / Fuggiaschi e clandestini)
Asriel Arnold, considerato un anarchico, dovette lasciare la Romania e si stabilì a Berlino lavorando come interprete: conosceva bene molte lingue. Riyfka era invece polacca della Galizia e apparteneva ad una numerosa famiglia. Rifka si trasferì a Berlino nel 1930, dove conobbe e sposò Asriel. A Berlino aprirono un negozio-magazzino all’ingrosso di cioccolato, sigarette e tabacco in una zona centrale della città in Kaiserstrasse 13. In Germania nacquero i figli Leonhard e Hella. Con la salita al potere del nazionalsocialismo e le restrizioni imposte agli ebrei il giro d’affari calò vertiginosamente per cui furono costretti a spostare la loro azienda da Kaiserstrasse a Kurzestrasse. Un controllo di routine delle SS, che preludeva a ulteriori persecuzioni, convinse la famiglia a lasciare la Germania. Gli Israelovici giunsero in Italia a Trieste e si stabilirono a Milano dove, aiutati dall’American Joint Distribution Committee, aprirono un negozio kasher nel 1940; dopo lo scoppio della guerra furono internati e infine confinati a Branzi dove trovarono alloggio in via Monaci 19. L’8 maggio 1942 all’ospedale di Bergamo, dove Ryfka si era recata per le cure alla figlia, nacque Isacco, ma poco dopo morì Ella, ammalatasi durante la permanenza a Ferramonti[4].
A loro si ricongiunse Leja (Lola), sorellastra di Schmaya Rifka, figlia del secondo matrimonio del padre Moses rimasto vedovo.
A Roncobello non risultano presenti ebrei italiani o stranieri, residenti o sfollati, e probabilmente nemmeno sfollati non ebrei: il paese è lontano dall’ultima stazione della ferrovia delle valli, inoltre non è stato scelto come sede di internamento perché privo di stazione dei carabinieri.
Come in quasi tutta la valle il fascismo non ha attecchito in questo comune, anzi il suo podestà negli anni 30, Attilio Milesi, ha dato per ben due volte (nel 1936 e nel 1940) protezione e copertura alle Aquile Randagie, così si denominavano i gruppi dell’A.S.C.I. (Associazione Scout Cattolici Italiani) che avevano proseguito in clandestinità la loro attività. Ricordate sono anche le sue pesanti critiche nei confronti delle scelte del regime fascista sulla politica boschiva nella valle locale e sulle vere ragioni dello spopolamento delle montagne. Anche il suo successore dal 1940, il geometra Isacco Milesi, benché nelle occasioni canoniche si presentasse in divisa fascista, non doveva pensarla diversamente. Era lui la persona che gli ebrei in fuga da Branzi incontrarono sul sentiero che avevano percorso per allontanarsi dal paese e fu lui che, compresa la loro situazione, li condusse a Roncobello. La storia è contenuta in una dichiarazione rilasciata da Asriel (Arnoldo) Israelovici al CDEC di Milano e riportata nel “Il paese dei Giusti”[5]:
I carabinieri stessi ci avvertirono indirettamente del grave pericolo e non ci restò altro da fare che fuggire. Casualmente incontrai I ‘uomo al quale dobbiamo si può dire la vita: il geometra Isacco Milesi podestà del Comune di Roncobello sempre in provincia di Bergamo. Gli spiegai senza preamboli la nostra situazione ed egli senza la minima esitazione ci disse di venire nel suo paese il giorno dopo e nel contempo ci avrebbe procurato un alloggio e comunicato alla Prefettura di Bergamo che non v’erano ebrei nel paese. Raggiungemmo l’Indomani a piedi il paese di Roncobello. C’ero io, mia moglie, i miei due figli, due anziane sorelle ebree jugoslave ed un’anziana coppia viennese: queste persone erano internate con noi e sono purtroppo decedute durante questi ultimi periodi crediamo in Svizzera dove più tardi riuscirono ad espatriare. II Podestà ci alloggiò in una casetta nella frazione di Costa lnferiore, qualche minuto di strada da Roncobello, di fronte alla sua abitazione. Rimanemmo a Roncobello due anni. Per prima cosa ci procurò, facilitato dalla sua carica, tessere annonarie e documenti con nomi naturalmente inventati. Pure a mia cognata, Leja Gerstenfeld, riuscita ad allontanarsi nel 43 dal campo di concentramento di Casacalenda fornì documenti affinché potesse vivere a Milano, dove preferì restare avendo ottime amicizie.
Le due sorelle jugoslave erano Gisela e Irene Weinberger, mentre gli anziani coniugi erano Julius Frank e Rosa Krakauer, questi ultimi malgrado l’età riuscirono a riparare in Svizzera. E’ solo un’ipotesi pensare anche in questo caso ad un contatto di Isacco con qualche membro di organizzazioni di espatrio, forse le stesse Aquile Randagie milanesi che avevano contribuito alla nascita della rete OSCAR (Opera Soccorso Cattolico Aiuto Ricercati), un’organizzazione che riuscirà a salvare oltre duemila fra ebrei, soldati e oppositori politici in fuga.
La signora Giulia Milesi, nella testimonianza resa a Peppino Valota ricorda che a Baresi c’erano due anziane donne jugoslave, mentre la signora Ilde Milesi[6], oggi novantenne, racconta che nella sua casa, che si trovava nel centro del borgo di fronte al Grand Hotel, era nascosta una coppia di ebrei che dopo qualche tempo era partita per riparare forse in Svizzera[7]. Si trattava quasi con certezza dei coniugi Frank, benché la signora non ne ricordi i nomi. Giampietro Milesi, uno dei figli di Isacco, racconta che, grazie all’aiuto di suo padre, le due sorelle e l’anziana coppia avevano abbandonato questo piccolo borgo per raggiungere il più importante nucleo urbano di Clusone, una località dell’alta Val Seriana ritenuta forse più sicura per loro. Aggiunge anche che i quattro ebrei erano riusciti a salvarsi, ne è sicuro perché da loro, alla fine della guerra, era giunta a suo padre una lettera di ringraziamento.
Isacco non si limitò ad ospitare e nascondere gli Israelovici, ma intervenne tempestivamente per tamponare le situazioni di rischio, racconta ancora Asriel[8]:
Per dimostrare l’altruismo e la bontà di quest’uomo, padre di 7 figli, vorrei narrarvi questo episodio: un giorno mia cognata volendo andare verso la frontiera svizzera per trovare un collegamento per farci passare nel territorio elvetico venne fermata sui pullman dalla polizia fascista che le ritirò la carta d’identità perché non “soddisfacente” invitandola di passare il giorno dopo al comando per ritirarla dopo il controllo. Cosa che si guardò bene di fare. Terrorizzata ritornò per vie traverse a Milano e inviò immediatamente un uomo a Roncobello affinché avvertisse il Podestà del pericolo nel quale poteva incorrere e per mettere in guardia pure noi. Il Milesi appena saputo dell’avvenimento preparò seduta stante, senza che gli venga chiesto, un’altra carta d’identità, affinché mia cognata non restasse sprovvista di documenti e la consegnò allo stesso uomo per recapitarla.
La vita a Roncobello aveva molti aspetti di normalità per i clandestini: Leo frequentò la scuola di Baresi con i nipoti e i figli dei Milesi, Asriel ascoltava assieme a Isacco Radio Londra, traducendogli i comunicati, Lola faceva spesso la spola da Milano a Roncobello portando nel paese merci da vendere per contribuire al mantenimento della famiglia, portando nel ritorno formaggi che vendeva a Milano. Il piccolo Isacco Israelovici, giocando, incorse in un grave incidente[9]:
Ricordo, avevo circa due anni, che giocando nell’aia a Costa Inferiore, il nostro nascondiglio, un giorno mi tagliai la mano destra recidendo i nervi di tre dita, venni portato all’ospedale di Bergamo, là tra medici ospiti, ricoverati e infermieri c’erano anche tanti tedeschi che, vedendomi con i riccioli biondo-oro e gli occhi azzurri, mi coccolavano innalzandomi e chiamandomi “Gesù Bambino”. In quell’occasione mia madre si guardò bene dall’aprire bocca e dal parlare in quanto il suo accento I’avrebbe tradita.
I falsi documenti, e probabilmente la consapevole complicità delle suore e del personale dell’ospedale, in quella circostanza erano bastate.
La zona però diventò tutt’altro che tranquilla: le montagne retrostanti diventarono zone operative di alcune formazioni partigiane, in particolare nella zona dei Laghi Gemelli, facilmente raggiungibile da Roncobello, era stanziata la formazione di Giustizia e Libertà “Cacciatori delle alpi”; anche dall’altro lato della valle, verso il monte Menna operavano formazioni partigiane di Giustizia e Libertà e delle Fiamme Verdi, stanziate nell’alta val Serina. Ho trovato documentati due importanti rastrellamenti tedeschi nel paese, ma è probabile che il paese abbia subito altre sgradite visite. In quei frangenti Asriel si nascondeva in un vano ricavato nella legnaia posta nel sottotetto o in un nascondiglio ricavato nel fienile, i bambini andavano a giocare con i coetanei mimetizzandosi tra loro. Non sempre la notizia dell’arrivo delle truppe giungeva per tempo, e all’emergenza soccorrevano l’astuzia e il coraggio. Racconta Luisa Milesi[10], nipote di Isacco:
Un giorno si sente una grande agitazione lì alla Costa: “Arrivano, arrivano i tedeschi!”. La signora lascia i bambini da qualcuno, forse il Carlì Mombel, e si rivolge a mia mamma disperata: “Cosa faccio, è finita!”. E allora mia mamma Maria[11]: “Venga giù, la metto a letto nella mia camera. Lei ha un fortissimo mal di gola, ha capito, quindi non parli”, e intanto le spalma dappertutto sul viso e sul collo un gran quantità di ittiolo. Ricorderò sempre questa donna a letto, mentre le scendevano dei grossi lacrimoni per la paura e per I’ agitazione. Sono entrati i tedeschi, tanti uomini in divisa, salgono le scale continuando a ripetere “ia, ia”, Quando la mamma si è accorta che si avviavano di sopra, ha detto: “Guardate che c’è un’ammalata grave”. Loro sono entrati lo stesso nella camera, io guardavo la mamma. Uno di loro ha tirato indietro un po’ le coperte e mia mamma a insistere: “Non toccatela, sta male, sta male”. Hanno aperto tutti cassetti rovistando dentro con la punta del fucile. Hanno buttato tutto in aria. Poi quando sono usciti, anche questo lo ricorderò sempre, uno di loro mi ha accarezzato i capelli, mi ha data due caramelle e gli sono scesi due lacrimoni. Mia mamma: “Non mangiare quelle caramelle” ha detto e me le ha ritirate.
In tutti i casi l’omertà del paese fu completa: nessuno svelò mai la presenza degli ebrei. Oltre alla grande influenza di Isacco Milesi (stimato non solo per la carica di podestà, ma per l’equilibrio con cui come geometra aveva sempre saputo dirimere le questioni di confine o consigliare gli abitanti), alla sicurezza della clandestinità contribuirono anche le parole del parroco, don Giovan Battista Ceroni, e in particolare per i bambini le raccomandazioni del maestro delle scuole elementari di Baresi, Turi Bellia. Il rischio per tutti loro non era poco: Isacco e il suo segretario comunale, complice nella redazione dei falsi documenti, erano pubblici funzionari e, se di per sé il solo ospitare ebrei non costituiva reato per un civile, lo era per un funzionario dello stato, per non parlare della falsificazione dei documenti.
L’aiuto dato agli ebrei, e soprattutto ai partigiani, fu anche pagato con pesanti maltrattamenti: il segretario comunale Onorato Oldofreddi e il parrucchiere Lorenzo Milesi furono imprigionati e torturati, ma non parlarono[12]. Don Ceroni, sostenitore attivo dei partigiani, venuto a conoscenza di un mandato d’arresto, aveva dovuto fuggire dal paese, rifugiandosi prima a Seriate, dalle suore di Comonte, e poi a San Paolo d’Argon. Il 22 ottobre del 1944 scrisse al vescovo una lettera nella quale spiegava i motivi del suo allontanamento e protestava la sua innocenza. Mons. Bernareggi ottenne che Don Ceroni potesse tornare in parrocchia in sicurezza solo nel febbraio del 1945[13]. Lo stesso Isacco Milesi fu costretto per alcuni giorni a cercare rifugio a Fondra, presso il parroco don Giuseppe Ravasio per sfuggire alle ricerche dei nazifascisti[14]: probabilmente il fatto che dalle autorità del paese non giungessero segnalazioni sui movimenti dei partigiani e sulla presenza di ebrei li aveva resi sospetti e i nazifascisti non credevano che il parroco, i funzionari comunali e il podestà fossero ignari di tutto.
Isacco Milesi, rimasto podestà anche durante il governo della RSI, rischiò di essere messo sotto accusa per l’epurazione dopo la liberazione, Asriel venutolo a sapere si presentò a testimoniare in suo favore. Gli Israelovici, stabilitisi a Milano, tornarono spesso a Roncobello, una volta donarono a Isacco e a Maria Milesi una medaglia d’oro, con la stella a cinque punte e scritte in ebraico. Con la morte di Asriel nel 1959 o 60 e il trasferimento a Roma della famiglia cessarono i legami con Roncobello, ma rimase salda la riconoscenza: Isacco Israelovici, ormai adulto, riuscì a rintracciare alcuni figli di Isacco Milesi e a ricostruire la storia della loro clandestinità a Roncobello: in famiglia poco si era parlato delle vicende della guerra, cosa comune a moltissime delle persone che le avevano subite[15]. Isacco Israelovici nel 2007 ha promosso l’assegnazione del riconoscimento di Giusto fra le nazioni a Isacco Milesi, riconoscimento giunto al termine dell’istruttoria e conferito dallo Yad Vashem il 10 ottobre 2011[16].
[1] La storia della famiglia Israelovici è raccontata dal figlio Isacco nella testimonianza rilasciata allo Yad Vashem e riportata in Teresa Montanari, Peppino Valota, Il paese dei Giusti, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2013, d’ora in avanti citato come T.M., P.V., Il paese dei Giusti, p. 27 e seguenti.
[2] Cfr. T.M., P.V., Il paese dei Giusti, op. cit., p. 10.
[3] Comune di Bergamo, Stato Civile, registri di nascita, anno 1942, atto n. 805 p. 1 s A.
[4] Cfr. T.M., P.V., Il paese dei Giusti, op. cit., pp. 27-28.
[5] Cfr. T.M., P.V., Il paese dei Giusti, op. cit., pp. 9-10.
[6] Cfr. T.M., P.V., Il paese dei Giusti, op. cit., p. 25.
[7] Cfr. T.M., P.V., Il paese dei Giusti, op. cit., p. 24.
[8] Cfr. T.M., P.V., Il paese dei Giusti, op. cit., p. 11.
[9] Cfr. T.M., P.V., Il paese dei Giusti, op. cit., p. 32.
[10] Cfr. T.M., P.V., Il paese dei Giusti, op. cit., pp. 49-50.
[11] Maria Milesi era nata il 5 marzo 1917 ed è deceduta il 21 aprile 1986. Il cognome Milesi è diffuso nel paese e numerosi sono i Milesi citati nella vicenda, ma non per tutti è chiarito il rapporto di parentela con Isacco.
[12] Cfr. T.M., P.V., Il paese dei Giusti, op. cit., p. 10.
[13] Cfr. Barbara Curtarelli, Ho fatto il prete – Il clero di Bergamo durante l’occupazione tedesca (settembre 1943 – aprile 1945), Centro Studi Valle Imagna, Bergamo, gennaio 2018, p. 306.
[14] Cfr. Barbara Curtarelli, Ho fatto il prete, op. cit., p. 297.
[15] La rimozione o la mancata narrazione di quanto loro successo nel corso della 2° Guerra mondiale è una costante della maggioranza sia dei perseguitati sia dei reduce dei campi di concentramento e prigionia, sia dei civili e dei militari che l’avevano combattuta. Personalmente ricordo che mio padre delle sue vicende in guerra mi disse solo che non aveva mai ucciso nessuno e che si era salvato grazie ad un commilitone del Friuli, con cui rimase in contatto fino alla sua morte, che lo ospitò nella sua casa per alcuni giorni e gli fornì abiti civili, permettendogli così di sfuggire ai tedeschi. Eppure ebbe la disavventura di dover fare quasi sei anni di leva, gli ultimi in Jugoslavia, prima di darsi alla fuga l’8 settembre.
[16] Yad Vashem, The Righteous Among The Nations database,
http://db.yadvashem.org/righteous/family.html?language =en&itemId=7828434