Lydia Curti è tornata dalla deportazione l’8 agosto 1945. Forse una delle pochissime sopravvissute ad avere sperimentato un ritorno simile a quello sognato da tutti in Lager: “accolta festosamente e con omaggio di fiori nell’atrio dell’Ospedale”, dove dal 1926 aveva lavorato come farmacista. E come quasi tutti, torna carica della storia di un’altra donna con lei partita, ma non tornata: Teresa Savio.
Lydia era una donna colta: nata nel 1900, aveva una laurea in Chimica e Farmacia. Cattolica convinta, non amava essere definita una donna mite e mansueta, perché sapeva di essere capace all’occorrenza di prendere in modo autonomo le proprie decisioni.
All’8 settembre 1943, Lydia ha 43 anni, un padre ormai vecchio, una posizione: è responsabile della farmacia dell’Ospedale Maggiore, ha tenuto lezioni all’interno dei corsi di Economia domestica, è impegnata come volontaria in associazioni assistenziali e nella Croce Rossa. Vicina a don Bepo Vavassori e don Vismara, si adopera per inviare medicinali alla Resistenza che va organizzandosi e per proteggere gli ex prigionieri alleati della Grumellina. Pochi sapevano del suo impegno – tanto che fu una sorpresa quando arrivarono i tedeschi a prelevarla dalla farmacia dell’Ospedale –, ma ne fu piena la condivisione con Teresa Savio, la sua domestica.
Arrestata insieme a Teresa il 2 dicembre 1943 con l’accusa di “complotto e partigianeria”, è portata al Collegio Baroni e qui interrogata fino al 12 dicembre quando è trasferita a Sant’Agata. Il 29 dicembre 1943 inizia il suo processo di fronte al Tribunale tedesco: rifiuta di pentirsi e il padre, interrogato, commenta: “Se ha fatto quello di cui l’accusano non ho che a lodarla”. La condanna è la deportazione. Lydia lascia il carcere di Sant’Agata il 12 febbraio 1944 per essere trasferita in Germania. Teresa è con lei.
In Germania il percorso di Lydia e Teresa si separa, ma per entrambe resta quello di due donne rese schiave. Lydia viene rinchiusa in alcune prigioni prima di essere destinata al lavoro in una sartoria militare a Hagenau in Alsazia e quindi in una fabbrica di proiettili a Eberbach (Stoccarda).
Teresa è impiegata prima in fabbrica e poi in un’industria bellica. Le due donne si ritrovano a Eberbach, qualche settimana prima dell’arrivo degli Alleati. Sulla via del ritorno Teresa perde la vita in un incidente automobilistico.
Nel dopoguerra Lydia si impegna nella carriera politica nelle file della Democrazia cristiana ed è assessora delle giunte Simoncini (1956-60 e 1960-64). Il suo agire si confronta tanto con il tema delle donne che con quello della memoria: milita nel Movimento femminile della DC ed è vicepresidente dell’VIII congresso del Comitato provinciale al fianco della presidente Lidia Menapace, che rappresenta il Comitato nazionale; fa parte del Consiglio direttivo dell’APPIA e non fa mancare la sua presenza e il suo sostegno a iniziative in memoria della Resistenza.
Prendendo la parola pubblicamente il 10 settembre 1983 per parlare di donne, Lydia osservava: “Quarant’anni fa alle 16 proprio come oggi entravano a Bergamo i tedeschi. Noi donne ci siamo unite e ci siamo dette che bisognava lavorare senza guardare in faccia a nessuno per difendere i nostri ideali di libertà, di pace e di amore di Patria. La donna ha cambiato lavorando duramente e pagando duramente. Siamo felici di avere contribuito a modificare il mondo…”.