L’ascesa del regime hitleriano e la conseguente messa in discussione degli equilibri internazionali, insieme alle difficoltà economiche dopo la grande crisi del 1929, definiscono il contesto dentro il quale la preparazione per la guerra d’Etiopia da parte dell’Italia fascista coincide con la volontà di affermare un prestigio fondato sulla forza e la potenza delle armi.
Non si tratta di preparare una operazione coloniale di respiro limitato, ma una guerra di conquista totale, rapida, moderna e con forze adeguate. Il fascismo cercava il grande successo che per Mussolini si riassumeva in una parola: impero.
Una guerra di conquista totale significa mandare centinaia di migliaia di soldati e così toccare direttamente tutti gli ambienti: ogni città, ogni quartiere, ogni parrocchia avrebbe avuto i suoi ragazzi in Africa. È tutto l’apparato di propaganda che si mette in moto. In ogni città, ogni partenza è un momento pubblico, cui la stampa locale non manca di dare eco.
A Bergamo la 114a Legione è mobilitata. I primi mille uomini si preparano a partire per l’Africa e lasciano la città con un’imponente manifestazione che porta i legionari dalla Caserma Camozzi a Piazza Vittorio Veneto, dove si svolge la cerimonia ufficiale di commiato. Al console Giovanni Ricciotti è assegnato il comando della 114a Legione, mentre il comando del battaglione in partenza è affidato a Enrico Morali, squadrista della prima ora e attivo nella fondazione dei fasci in città.
Nel tardo pomeriggio del 2 ottobre 1935, dal balcone di Palazzo Venezia Mussolini dà l’annuncio dell’imminente attacco all’Etiopia. Il discorso è radiotrasmesso in tutto il paese e si ordina l’adunata generale delle forze del regime. Con toni duri, propagandistici e densi di retorica, nel suo discorso Mussolini pone l’accento sul prestigio internazionale di cui l’Italia avrebbe goduto dopo l’impresa etiope: era giunto il momento che “un popolo intero di quarantaquattro milioni di anime” conquistasse il suo posto al sole. A Bergamo il discorso è trasmesso in Piazza Dante dove si è radunata una folla di cittadini e camicie nere.
Il casus belli che tecnicamente servì a giustificare l’attacco italiano all’Etiopia è l’ennesimo scontro sul confine tra possedimenti italiani in Somalia e Etiopia meridionale, nell’oasi di Ual Ual. Il 3 ottobre 1935, le truppe italiane, comandate da Emilio De Bono, iniziano l’avanzata e il 6 ottobre occupano Adua.
Le forze italiane sono di molto superiori a quelle locali per numero e qualità di armamenti: il 16 ottobre entrano ad Axum, città sacra per gli etiopi, e il 9 novembre a Macallè. Nonostante questi primi successi, il 14 novembre Mussolini annuncia a De Bono la sua sostituzione con Pietro Badoglio, il quale in sei mesi riesce a piegare la resistenza etiope e il 5 maggio 1936 telegrafa: “Oggi, 5 maggio alle ore 16.00, alla testa delle truppe vittoriose, sono entrato in Addis Abeba”. La sera dello stesso giorno Mussolini dà l’annuncio della fine della guerra con un discorso dal balcone di Palazzo Venezia, osannato da una folla di circa duecentomila persone. Quattro giorni dopo, il 9 maggio 1936, Mussolini proclama di fronte ad una folla ebbra di entusiasmo “la riapparizione dell’impero sui colli fatali di Roma” e nomina Vittorio Emanuele III imperatore d’Etiopia.
I discorsi del duce sono ritrasmessi puntualmente anche a Bergamo, come in tutte le città piccole e grandi d’Italia, ed ogni volta diventano un’occasione di raduno cittadino.