Dove alla fine dell’Ottocento all’inizio di via Pignolo esisteva una trattoria, Angelo Baroni, un professore di Clusone, decide di costruire un collegio con annesse scuole elementari, per ospitare studenti fuori sede che frequentanti le scuole superiori della città. Nel 1918 viene acquisito dal Regio istituto tecnico industriale, che fa fronte all’aumento degli iscritti con continue ristrutturazioni e ampliamenti dello stabile.
Con l’ingresso dei tedeschi a Bergamo, il territorio diventa territorio occupato: la sicurezza è affidata alla polizia militare e su di esso si applica il codice di guerra tedesco gestito da un Tribunale militare germanico. Il Baroni diventa sede della Fedelgendarmerie (Polizia militare) e del carcere dipendente dal Tribunale militare, dove vengono rinchiusi gli indagati e condannati di sua competenza. Non si contano i nomi di antifascisti qui rinchiusi -da Franco Maj a Cristoforo Pezzini, da don Teani a don Benigni, da Lidia Curti a Betty Ambiveri, dai componenti della banda di Lovere a quelli della Turani, da don Vismara a Mariella Valenti-, tutti concordi nel testimoniare delle violenze lì praticate.
Secondo alcune testimonianze nel gennaio 1944 le SS di guardia al collegio sono richiamate al fronte e il collegio svuotato dai detenuti nella notte del 21. Sono almeno cinque i testimoni – Franco Maj, Cesare Bonino, Giovan Battista Cortinovis, Luigi Mondini, Giacomo Paganoni– che raccontano di quella notte, quando i prigionieri (secondo Cesare Bonino in totale 56 sotto la custodia di una decina di SS) sono fatti uscire in cortile sotto gli occhi dei loro preoccupati carcerieri (come nota Cortinovis) e trasferiti a Sant’Agata, dove dal dicembre 1943 è installato un presidio tedesco.
Non si tratta di una chiusura definitiva del Baroni, poiché ancora nel marzo 1944 vi sono portati partigiani catturati, come Adriana Locatelli e alcuni suoi compagni della banda Maresana. È probabile che allora al ridottissimo personale tedesco che allora si fosse affiancato quello fascista. L’incrocio tra le testimonianze permette di rilevare d’altro canto una organizzazione sempre più efficiente dell’apparato repressivo fascista in cui vanno imponendosi le figure di Resmini certo, ma anche di Strohmenger, Monge, Ghisleni, Zanchi, Messaggi (nomi che ritornano in molte testimonianze) e che lavora in completa sinergia con quello nazista.
La storia del Baroni registra anche la fuga rocambolesca di due detenuti. Dino Moretti e Gabriele Castellini, due membri della banda Turani, arrestati nella notte fra il 19 e 20 novembre, dopo aver segato le sbarre della grata della loro cella e “camminato” sui tetti, si gettano dal secondo piano. Moretti riesce a portare in salvo il compagno, che si era fratturato una gamba. I due si rifugiano in una casa amica di via Pignolo e poi tornano a combattere: Moretti raggiungerà Milano e Castellini entrerà nella divisione Valdossola.
Turani, Sporchia, Consonni sono sottoposti a pesanti torture perché parlino facendo i nomi di altri componenti la banda, ma i tre non cedono. Verranno fucilati alla Caserma Seriate. (A. Bendotti, Banditen).