Le famiglie di Amleto e Pilade Sonnino
Bergamo
Scheda di famiglia
Amleto Sonnino, nato a Livorno il 5 dicembre 1873, la moglie Bellina (Bella Marianna) Ortona, nata a Casale Monferrato il 2 febbraio 1875 e la figlia Ilda, nata a Genova il 17 luglio 1904.
Pilade Sonnino, figlio di Amleto, nato a Livorno il 26 giugno 1900, coniugato con Luigia Caspis, non ebrea, e la figlia Argia, nata a Vercelli il 6 aprile 1925.
(Capitoli di riferimento: Il censimento degli ebrei nella provincia di Bergamo / Le conseguenze a Bergamo / Arrestati e deportati dal carcere di Bergamo)
I Sonnino erano piccoli commercianti, erano venuti una prima volta a Bergamo nel dicembre 2019, forse per sondare la situazione in vista di un trasferimento definitivo e l’acquisto di un negozio, la professione denunciata da Amleto è commesso, l’abitazione è in via San Tomaso 10, una sistemazione che dura pochi mesi: il 10 aprile 1920 la famiglia rientra a Milano per fare però un definitivo ritorno il 25 novembre dello stesso anno; la professione di Amleto annotata nel foglio di famiglia questa volta è commerciante. L’acquisto della licenza commerciale era quindi andato a buon fine, come possiamo ricavare da una fotografia di Amleto e Pilade davanti all’ingresso di un negozio di tessuti al n. 88 dell’attuale viale Papa Giovanni XXIII. I Sonnino si erano stabiliti in via Del Macello n.10, l’attuale via Taramelli, per poi portarsi nel 1930 nell’abitazione di via San Bernardino 22. Pilade si era sposato il 29 settembre 1924 con la bergamasca Luigia Caspis, non ebra[1]. La coppia si era trasferita a Vercelli, dove il 6 aprile 1925 era nata Argia, ed era rientrata a Bergamo l’11 settembre 1927. Pilade e Luigia avevano cambiato alcune abitazioni per poi stabilirsi in via Moroni 24.
Amleto attirò l’attenzione del quotidiano locale per una presunta, cospicua, eredità di una “zia d’America”[2], eredità che però non si concretizzò, viste le ripetute difficoltà economiche in cui incappò il figlio Pilade nella sua attività: sul giornale cittadino compare infatti negli elenchi dei protesti cambiari[3]. Per quanto non ce ne sia la prova documentale la comparsa di Pilade Sonnino nella rubrica “Fallimenti e dissesti” su “L’Eco di Bergamo” del giorno 24 maggio 1941 può essere ricondotta ai vari divieti emanati dal Ministero dell’Interno che interdivano agli ebrei la possibilità di esercitare numerosi mestieri, tra cui il commercio ambulante (30 luglio 1940, divieto esteso il 12 novembre 1941 ai coniugi “di razza ariana” subentranti). Anche l’attività di Amleto aveva cambiato sede: la denuncia di azienda ebraica effettuata il 3 settembre 1942 riporta che la sede è in via San Bernardino 70: una sede allora quasi periferica, ancora all’interno dei borghi storici della città bassa, un quartiere popolare, fuori dal più costoso centro cittadino.
Ilda era un’impiegata della GIL[4], ma sarebbe più proprio dire del CAI, il Club Alpino Italiano, presso cui effettivamente lavorava, la GIL venne creata nel 1937, Ilda aveva già 30 anni, difficile fosse al primo impiego, è probabile che vi lavorasse da prima che venisse assorbito nella GIL. Non abbiamo una testimonianza documentale, ma anche lei dovette sicuramente abbandonare il lavoro: una impiegata ebrea non poteva certo continuare a lavorare alle dipendenze di un’istituzione che faceva capo direttamente alla segreteria del PNF.
Scheda di Deportazione
Bella Marianna Ortona, nata a Casale Monferrato (AL) il 2 febbraio 1875. Uccisa all’arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944.
Ilda Sonnino, nata a Genova il 17 luglio 1904. Deceduta a Bergen Belsen dopo il febbraio 1945.
Arrestate a Bergamo a inizio dicembre, rilasciate e poi riarrestate a Bergamo o a Nossa da italiani il 31 gennaio 1944[5].
Le due arrestate dopo essere state detenute nel carcere di Bergamo sono inviate al campo di Fossoli il 24 febbraio 1944, il 5 aprile 1944 sono caricate con altri 935 ebrei sul convoglio 09 che giunge ad Auschwitz il 10 aprile 1944.
Deportati identificati 609, di cui reduci 50, deceduti 559.
Pilade Sonnino, nato a Livorno il 26 giugno 1900. Deceduto a Mauthausen, il 29 aprile 1945, matricola n. 126531[6].
Arrestato a Nossa (BG) il 17 agosto 1944 da italiani.
Dopo la detenzione nel carcere di Bergamo è inviato al carcere di Milano e poi il 23 novembre 1944[7] al campo di transito di Bolzano, da qui viene deportato con altri 535 prigionieri il 1 febbraio 1945 con il convoglio 119 che giunge a Mauthausen il 4 febbraio 1945[8].
Deportati identificati 324, di cui reduci 51, deceduti: non conosciuto.
Racconta in un’intervista Argia Sonnino figlia di Pilade[9]:
Nonna spiegava che sarebbe successo come l’altra volta, quando le avevano tenute in questura poche ore[10]. Ma ora non distoglie più lo sguardo dal libro[11] che le abbiamo portato con i nomi di tutti gli Ebrei deportati. “Ecco – dice indicando il nome Marianna Bella Ortona questa era mia nonna. Aveva 69 anni. La arrestarono assieme alla zia Ilda. Il giorno prima un amico ci disse: “domani devo venire a prendervi”. Non gli diedero retta e restarono in paese. Nonna spiegava che sarebbe successo come l’altra volta, quando le avevano tenute in questura poche ore. Invece finirono ad Auschwitz.[12] Il babbo aveva tre difetti: era ebreo, antifascista e troppo svelto di lingua. E’ finito in campo di concentramento come prigioniero politico. Del resto mia madre era cattolica, io pure. Il fatto di essere israelita è stato per lui un’aggravante. Una volta trovai in tasca un foglio stropicciato. Era “L’Avanti!”. Io non sapevo neppure di che cosa si trattasse, ma intuii. Vennero in due per portarlo in questura. Mamma pretese di seguirlo, anche se quelli assicuravano che si trattava di una formalità. Lei tornò il giorno dopo, papà non tornò più. Lo trasferirono a Sant’Agata. Fu lì che lo vidi per l’ultima volta. I parenti da una parte e i prigionieri dall’altra. Nel vociare generale capimmo che voleva qualcosa da mangiare. Ci raccomandò di stare tranquilli ma, nello stesso tempo, di aver cura di nonno Amleto.
Aveva capito tutto.
Della cattura di Ilda e sua madre ci racconta anche Piera Vistalli, amica di famiglia[13] e nipote di don Francesco Vistalli, parroco di Sant’Alessandro in Colonna (parrocchia della città di Bergamo) che nel 1943, probabilmente dopo l’8 settembre, aveva battezzato nel monastero di San Benedetto Ilda, che aveva assunto il nome di Angela.
Ilda abitava con la madre e il padre in via San Bernardino 22:
Poco tempo dopo giunsero i nazifascisti in parrocchia con un camion che, parcheggiato di fronte alla chiesa, fu riempito con gli ebrei rastrellati nella zona e tra le persone caricate furono comprese anche Angela con l’anziana madre e il fratello, mentre il padre, commerciante ambulante ultra-ottuagenario, fu lasciato piangente e disperato a terra. Nessuno tornò di questa famiglia: Angela morì nei giorni successivi alla liberazione in campo di concentramento.
E’ possibile che come per altri casi si sia trattato di un primo arresto eseguito ai primi di dicembre, subito dopo l’ordine telegrafico di Buffarini Guidi, come accenna la nonna ad Argia, che come per altri fu seguito dal temporaneo rilascio in attesa dell’approntamento del campo di Fossoli. È altresì possibile che Ilda e sua madre non si trovassero al momento del secondo arresto a Bergamo, ma a Nossa, dove potevano contare sui suoceri e dove spesso trascorrevano le vacanze: così almeno traspare dall’intervista ad Argia Sonnino all’epoca diciottenne “Non gli diedero retta e restarono in paese”. I Sonnino a Bergamo abitavano in via San Bernardino n. 22, Pilade con la sua famiglia in via Moroni n. 24, a poche decine di metri dalla casa del padre, a circa trecento metri dalla chiesa di Sant’Alessandro; Amleto Sonnino aveva da poco compiuto i settant’anni, era nato il 5 dicembre 1873 e questo lo salvò: le disposizioni di arresto prevedevano che, provvisoriamente gli ultrasettantenni fossero esentati, in attesa di una migliore organizzazione della detenzione nei campi; riuscì poi a nascondersi e sopravvivere alla guerra, morì a Bergamo il 27 giugno 1947[14].
Ilda finì nella stessa cella di Betty Ambiveri assieme ad altre donne ebree: le loro firme compaiono sul retro di un’immagine votiva donata come ricordo a Betty Ambiveri, si può supporre poco prima della partenza per Fossoli, ne riporto lo scritto “Anna Maria Gottlieb – Leopoldina Kosicek – Nora Levi – la sua Laura (Levi ndr) – Emma Bianca Tedeschi – Lia Marta Levi – Elda Levi – Ada Tedeschi con infinita gratitudine – Ida Cantoni Finzi – Clara Levi – Hazan Regina – Ilda Sonnino con affetto e riconoscenza”[15]. Una mano diversa ha scritto St. Ag.ta Febbraio 1944. Non è presente la firma di Ortona Bella Marianna e forse di altre detenute ebree presenti nel carcere, ma non sappiamo se detenute nella stessa cella. Ilda, Bella Marianna e le altre furono trasferite al campo di transito di Fossoli il 24 febbraio 1944 e deportate con il convoglio del 5 aprile 1944 ad Auschwitz, tornò solo Laura Levi.
Pilade riuscì a sottrarsi all’arresto fino al 17 di agosto 1944 quando militi fascisti lo rintracciarono a Nossa. Pilade venne incarcerato a Bergamo, poi trasferito a Milano e da lì al campo di Bolzano. Purtroppo non è rimasta memoria di cosa fece nel periodo di latitanza.
Dal carcere di Bergamo, da quello di Milano e dal campo di Bolzano Pilade scrisse alcune lettere alla famiglia tuttora conservate dai nipoti[16], la prima dal carcere di Sant’Agata e porta la data del 30 agosto 1944, una lettera del 9 ottobre è invece spedita dal carcere di Milano.
Il Libro della Memoria riporta il 24 ottobre del 1944 come data della deportazione di Pilade, ed Auschwitz come destinazione, basandosi sulla testimonianza del padre che probabilmente aveva avuto notizie da reduci da Bolzano. Su quel convoglio furono infatti deportate almeno 8 persone di cognome Sonnino e i 6 deportati arrestati a Torre Boldone (BG): forse da questo deriva l’errata informazione, Pilade non è su quel convoglio: da Bolzano la prima lettera che giunge alla famiglia è datata 24 novembre 1944, il giorno dopo l’arrivo, l’ultima[17] è datata “Milano 23-1- 45”. Quest’ultima è scritta sul retro delle pagine di quella ricevuta dalla moglie e non è stata inviata attraverso i canali ufficiali: “Per mezzo di un mio amico t’invio la presente perché ti arrivi presto” scrive Pilade, questo potrebbe anche giustificare il luogo “Milano”: un espediente in caso di intercettazione, Pilade era ancora nel campo di Bolzano come viene confermato nella parte finale della lettera “Spediscimi L. 2000 con cortese sollecitudine sempre al solito indirizzo di Bolzano” e una trasferta a Milano da Bolzano, anche per un interrogatorio, era altamente improbabile. La lettera, pur evitando di dare informazioni che potessero turbare la famiglia, non riesce a nascondere le pessime condizioni di vita nel campo di Bolzano: il vitto carcerario anche a Bergamo e Milano era pessimo e scarso, ma poteva essere integrato con i pacchi che le famiglie potevano portare ai congiunti carcerati, a Bolzano, come raccontano i reduci, il vitto era peggiore e ancora più scarso, vengono a mancare anche le integrazioni “A tutt’oggi pacchi non ne ho ancora ricevuto e ti puoi immaginare come mi occorre da mangiare c’è poca cosa e non ti descrivo niente perché è meglio”; nel campo poi domina, oltre alla violenza gratuita frequentemente raccontata nelle memorie di molti, l’onnipresenza dei pidocchi “perché quello che ho portato via non porto a casa niente per i pidocchi che ci sono”; Pilade dichiara di essere in buona salute “La mia salute fino a ora ringraziando Dio è ottima e statti tranquilla. Il morale è alto”, ma quanto questa affermazione fosse vera o fosse solo un tentativo di rassicurare la moglie e i famigliari non è possibile stabilirlo. Alla moglie comunica la speranza: “Ti raccomando di prepararmi per quando ritorno 2 camicie e 2 mutande nuove” e ancora “Il cuore mi dice che presto ci vedremo a casa” (le notizie sull’andamento della guerra circolavano nel campo, e i prigionieri erano certi di una liberazione non lontana) e comunica l’affetto “Baciami tanto Argia e il nonno e a te tanti bacioni dal tuo Pilade”.
La speranza di Pilade purtroppo era infondata: il 1 febbraio 1945 partì da Bolzano per Mauthausen un convoglio, Italo Tibaldi lo numera 119, con oltre cinquecento prigionieri politici che arrivò a Mauthausen il 4 febbraio 1945. Ai deportati vennero assegnati i numeri di matricola tra il 126001 e il 126535[18], tra quelle rintracciate la più bassa è la 126003 di Celeste Albertazzi[19], la matricola 126531 toccò a Pilade, quella inferiore la 126526 a Antonino Di Salvo[20], la 126532 a Giovanni Strada[21], la 126535 a Lodovico Vigilante[22], tutti detenuti politici come molti altri presenti sul convoglio[23].
Questo elemento introduce un altro importante argomento su cui però non abbiamo elementi per far luce: la sua Haftlings Personal Karte[24] di immatricolazione a Mauthausen, non lo classifica “IT Jude”, ma “IT. Sch” sigla di Italian Schutzhaft: italiano in custodia protettiva, la religione inoltre è indicata con la sigla “rk”, religion katolic: religione cattolica[25]. Pilade quindi non è considerato dai tedeschi un prigioniero ebreo, ma solo un prigioniero politico: altri ebrei con passato politico sono classificati con anche l’annotazione di ebreo aggiunta a quella politica o almeno nella religione.
La sua identità ebraica è stata omessa in qualche momento del suo peregrinare detentivo, questo gli ha evitato probabilmente la deportazione ad Auschwitz.
Pilade era un uomo imponente: era alto m. 1,85 e di “corporatura forte” secondo la scheda personale, doveva però essere stato stremato dal trattamento subito nelle prigioni di Bergamo e Milano e da quello nel campo di Bolzano: l’8 febbraio venne trasferito dal blocco di quarantena al “revier”, segno di una malattia abbastanza grave.
Il 29 aprile 1945 morì a Mauthausen il deportato matricola n. 126531, Pilade Sonnino. Il campo di Mauthausen venne abbandonato dalle SS solo il 2 maggio e venne raggiunto dalle truppe americane il 5 maggio.
Al termine della guerra Luigia Caspis Sonnino iniziò la disperata ricerca di notizie sulla sorte del marito. La figlia Argia continua nella sua intervista[26]:
A noi lo disse uno che era scampato al massacro. L’ho visto io, diceva, proprio in cima ad un mucchio di cadaveri. Mamma non voleva crederci. Poi io ottenni in qualche modo il certificato di morte. Riportava che papà se n’era andato per malattia, chissà …
Innocente Sala, sopravvissuto a Mathausen, il 15 maggio 1946 risponde alla lettera di Luigia Caspis[27]:
Ho ricevuto oggi un vostro scritto e mi affretto a malincuore a rispondervi. Purtroppo vostro marito lo conosciuto ai primi di aprile al Bloch 2 con forte esaurimento, e con la scabia, dove per questo ultima è stato trasferito al BK 8, dove non ritornò più. Questo è quello che mi risulta a me, che in qualità di lavoratore ero a conoscenza con i capi Blocchi, e per mezzo di loro andavo a visitare tutti i Blocchi, così feci anche con vostro marito, che dopo due o tre visite circa la metà di aprile, mi constatato che era morto”.
Ad essa si aggiunge la testimonianza di C. Vallardi:
Specialmente il Micheli ricorda di aver veduto trasportare in barella suo marito in gravi condizioni dal blocco 2 al blocco 7. Ella può bene immaginare che cosa vuol dire questa affermazione, tanto più che oramai è trascorso troppo tempo da allora per poter sperare ancora.
La data ufficiale della morte di Pilade Sonnino è quella risultante dalle comunicazioni della Commissione ministeriale presso il Ministero della difesa[28]:
Il giorno 29 del mese di aprile dell’anno millenovecentoquarantacinque è deceduto in Germania – Campo di eliminazione di Mauthausen alle ore non accertate, in età di anni quarantaquattro il Sonnino Pilade, appartenente non militare, nato il 26 giugno 1900 a Livorno, residente a Bergamo via G.B. Moroni 65, Bergamo – figlio di Amleto e di Suggi Argia, coniugato con Caspis Luigia. Il suddetto Sonnino Pilade è morto in seguito a esaurimento e sevizie (in deportazione) ed è stato sepolto e cremato nel campo stesso.
La morte di Pilade poté essere ufficialmente certificata solo nel 1955: dall’anagrafe era stato cancellato nel 1953, ma, come la sorella e sua madre, per irreperibilità al censimento[29].
[1] Luigia Caspis era nata a Ponte di Nossa il 7 novembre 1898, sul foglio di famiglia sotto “Condizione o professione” è annotato “civile” che sta ad indicare in genere una condizione economica agiata.
[2] Gli articoli di “L’Eco di Bergamo” relativi a questa vicenda sono pubblicati con i titoli e nelle date seguenti: La pretesa eredità di 25 milioni: Uno degli eredi a Bergamo, 5 marzo 1928; La danza dei milioni, 17 marzo 1928; I 25 milioni della zia d’America veramente sussistono. La realtà del sogno di Amleto Sonnino, 12 marzo 1928; L’eredità Sonnino non sfumerebbe, 23 marzo 1928; Una presunta eredità di 3 miliardi ai Gamba bergamaschi, 4 ottobre 1928.
[3] Cfr. Fra codici e pandette, L’Eco di Bergamo12 settembre 1929; Protesti cambiari di novembre, 16 dicembre 1936; Fallimenti e dissesti, 24 maggio 1941.
[4] GIL: Gioventù Italiana Littorio, fondata il 27 ottobre 1937, proseguì l’opera dei cessati Fasci giovanili di combattimento (18-21 anni), con lo scopo di accrescere la preparazione spirituale, sportiva e militare dei ragazzi italiani fondata sui principi dell’ideologia del regime. In essa confluì anche l’Opera nazionale balilla, creata per i giovani di ambo i sessi dai 6 ai 18 anni, e tutte le organizzazioni che ad essa facevano capo.
[5]Cfr. Liliana Picciotto, Il libro della Memoria, Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Milano, Mursia, 2° edizione 2002, pp. 478 e 594, CDEC Digital Library, http://digital-library.cdec.it/cdec-web/persone/detail/person-7411/sonnino-ilda.html. L’incertezza sul luogo dell’arresto, che il CDEC individua in Bergamo è frutto probabilmente di incertezze di memoria di Amleto Sonnino; la figlia di Pilade, Argia, nella sua intervista colloca “in paese” il luogo dell’arresto, il che farebbe pensare più che a Bergamo a Nossa, paese di residenza della famiglia della moglie di Pilade Sonnino. La scheda del CDEC non precisa l’agente di cattura: furono arrestate da italiani, come racconta la nipote in Il drammatico Ferragosto del ’43, Argia Sonnino Cervo ricorda quando prelevarono padre, nonna e zia, “Giornale di Bergamo Oggi”, 25 aprile 1991. Le Sonnino subirono due arresti: uno probabilmente a dicembre, con un rapido rilascio dopo un interrogatorio, e uno quello definitivo, è probabile che uno dei due arresti si sia svolto a Bergamo e l’altro a Nossa.
[6] In Liliana Picciotto, Il libro della Memoria, op. cit., p. 596, non si precisa l’agente di cattura, fu arrestato da italiani come racconta la figlia Argia Sonnino nell’intervista citata precedentemente.
[7] Pilade in una lettera spedita da Bolzano il 24 novembre precisa di essere arrivato il giorno precedente, la notizia è stata riferita dalla nipote di Argia Sonnino, depositaria delle lettere, con e-mail del 24 giugno 2021 conservata presso l’archivio personale di Silvio Cavati.
[8] Haftlings Personal Karte, Carta personale del detenuto, Archivio Arolsen, Reference Code 01012603 oS Number of documents 418695. Il Libro della Memoria, p. 596, riporta che Pilade Sonnino fu deportato ad Auschwitz da Bolzano il 24 ottobre 1944 e solo successivamente a Mauthausen, il deposito presso l’Isrec di Bergamo da parte della pronipote di una lettera di Pilade dal campo di Bolzano datata 23 gennaio 1945 ha portato a nuove indagini e alla conseguente rettifica delle date. Il numero del convoglio è quello indicato in Italo Tibaldi, Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-45, Consiglio regionale del Piemonte, ANED, Franco Angeli, Milano 1995, p. 199.
[9] Cfr. Il drammatico Ferragosto del ’43, op. cit.
[10] Cfr. Il drammatico ferragosto del 43, “Il Giornale di Bergamo Oggi”, 25 aprile 1991, p. 9, op. cit.
[11] Si tratta della prima edizione de Il libro della Memoria di Liliana Picciotto Fargion, op. cit.
[12]Cfr. Il drammatico Ferragosto del ’43, Argia Sonnino Cervo ricorda quando prelevarono padre, nonna e zia, “Giornale di Bergamo Oggi”, 25 aprile 1991.
[13] Cfr. Barbara Curtarelli, Ho fatto il prete – Il clero di Bergamo durante l’occupazione tedesca (settembre 1943 – aprile 1945), Centro Studi Valle Imagna, Bergamo, gennaio 2018, p. 244. Piera Vistalli, nata a Bergamo il 25 gennaio 1929, era nipote di don Francesco Vistalli, parroco di Sant’Alessandro in Colonna e abitava in via Sant’Alessandro al n. 50, di fronte alla chiesa.
[14] Comune di Bergamo, Anagrafe.
[15] L’immagine votiva è esposta nella mostra “Se quei muri” inaugurata nelle celle di un’ala dell’ex carcere il 15 giugno 2021 e aperta fino al 30 novembre 2021, l’originale è conservato presso il Museo Mons. Carrara di Seriate, copia fotografica è conservata presso l’archivio personale di Silvio Cavati.
[16] Di queste lettere è stata finora depositata solo l’ultima da Bolzano datata 23 gennaio 1945, l’elenco delle altre è contenuto in un appunto lasciatomi da un famigliare durante un incontro presso l’Isrec in data 24 dicembre 2020 e conservato presso l’archivio personale di Silvio Cavati.
[17] Copia della lettera è stata depositata presso l’archivio dell’Isrec di Bergamo mediante e-mail in data 12 giugno 2021 unitamente a copia delle testimonianze su Pilade di due deportati sopravvissuti al campo di Mauthausen: Innocente Sala e C. Vallardi. Le stesse copie sono state inviate al CDEC e a Silvio Cavati.
[18] Cfr. Italo Tibaldi, Compagni di viaggio, op. cit. p. 199.
[19] Celeste Albertazzi nato il 31/10/1924 a Cameriano, frazione di Casalino (NO), militare catturato l’8 settembre riesce a fuggire e si unisce alla resistenza nel novarese, catturato il 12 gennaio 1945, detenuto a Milano e poi al campo di Bolzano, deportato 1 febbraio 1945, viene liberato a Mauthausen il 5 maggio 1945 dagli americani.
[20] Antonino Di Salvo nasce a Demonte (Cuneo) l’8 luglio 1903, si unisce ai partigiani della val Varaita, nel dicembre 1944 viene arrestato per una delazione e portato al carcere Leutrum di Cuneo, trasferito alle Nuove di Torino, poi a San Vittore e infine a Bolzano. Viene deportato a Mauthausen l’1 febbraio 1945. Viene liberato dagli americani ai primi di maggio 1945.
[21] Giovanni Strada nato il 23 aprile 1945 a Monteparano (TA). Operaio, dopo l’8 settembre combatte come partigiano in Valsesia. Nel dicembre 1944 è arrestato e condotto prima al carcere di Novara e quindi a San Vittore (MI). Il 1 febbraio 1945 è deportato a Mauthausen; liberato a Gusen 5 maggio 1945.
[22] Lodovico Vigilante, Vice Questore di Pubblica Sicurezza, Questura della Spezia, fu uno dei principali fautori dell’aiuto prestato alla comunità ebraica della città. Si adoperò in prima persona assieme al parroco don Giovanni Bertoni nell’organizzazione di una rete di fuga di ebrei e antifascisti verso la Svizzera. Scoperto dalle autorità tedesche e repubblichine, fu arrestato il 21 Novembre 1944 all’interno del proprio ufficio e, dopo essere stato detenuto prima nel carcere di Marassi a Genova e poi nel campo di concentramento di Bolzano, venne successivamente deportato a Mauthausen, dove morì 6/2/1945.
[23] La ricerca è stata resa possibile anche dall’elenco dei detenuti nel lager di Bolzano redatto da Dario Venegoni che ha identificato 540 persone (a cui vanno aggiunti Pilade Sonnino ed un altro deportato individuato da Tibaldi) deportate con quel convoglio, permettendo così di individuare i numeri di matricola di 52 di loro. Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini nel lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7982 storie individuali, Mimesis edizioni, Sesto San Giovanni (MI) 2004, reperibile sul sito dell’Aned all’ indirizzo: http://www.deportati.it/biblioteca/librionline/librionline
[24] Haftlings Personal Karte, letteralmente: Carta del personale di detenzione, Archives Arolsen, Reference Code 01012603 oS Number of documents 418695.
[25] Il confronto con altre Haftlings Personal Karte di ebrei deportati dall’Italia, alcuni prima ad Auschwitz e poi a Mauthausen, e con non ebrei deportati a Mauthausen per motivi politici ha permesso di riscontrare una serie di dati che confortano questa ipotesi. I deportati ebrei portano la dizione jude e come religione mos. o mosaic o jude, quelli provenienti da Auschwitz riportano: Au o Ausch. (vedi Elias Abraham, Narciso Alhadeff, Ner Alhadeff), abbiamo poi il caso di Angelo Anticoli deportato da Roma a Mauthausen, che riporta Ital. Jude, e il simbolo del triangolo rosso dei deportati politici, Anticoli nel Libro della Memoria è indicato come ebreo, ma deportato per motivi politici. I deportati non ebrei citati e altri portano la dizione It. Sch religione rk.
[26] Cfr. Il drammatico Ferragosto del ’43, art. cit.
[27] Abbiamo lasciato il testo così come scritto: dato i numerosi errori ortografici e sintattici l’intera lettera avrebbe dovuto essere riscritta, ma è utile ricordare che all’epoca moltissime persone appartenenti a famiglie di lavoratori manuali, la stragrande maggioranza della popolazione, frequentavano la scuola solo fino alla terza elementare e al massimo completava i suoi studi alla quinta elementare.
[28] Comune di Bergamo, Stato Civile, registri di morte, anno 1955 atto n. 53 parte 2 s.C.
[29] Comune di Bergamo, Anagrafe.