scheda completa

Schwarz Jacob

Iacob Schwarz


Bergamo


Scheda di famiglia


Iacob Schwarz, nato a Leopoli (Polonia) il 6 maggio 1902.

(Capitolo di riferimento: Il censimento del dicembre 1938 / Fuggiaschi e clandestini


Jacob[1] giunse a Bergamo da Vienna il 19 dicembre 1935; era un odontotecnico, la sua storia è contenuta in un documento conservato presso gli archivi del CDEC di Milano; Jacob era di origini polacche e aveva lasciato il suo paese da giovane per emigrare in Israele e poi in altre nazioni e fu privato della cittadinanza polacca, fu annotato infatti come apolide all’anagrafe di Bergamo. Conosciamo la sua storia dalla copia di un allegato alla richiesta di cittadinanza presentata dopo la guerra che trascriviamo[2]:


In coerenza alla mia domanda tendente ad ottenere la cittadinanza italiana il Capo dell’Ufficio Stranieri Dott. De Fiore mi ha chiesto di esporre alcuni dati di fatto della mia vita od in modo particolare dall’età di 16 anni in poi.


Il compito è delicato perché raccontare della propria vita ha sempre l’aria di un’esibizione. Cercherò di farlo con scrupolosa obiettività tanto più che la mia vita non è che un modesto scorrere di giorni senza gloriose imprese e senza così detti eroismi. 


1902 – Il giorno 6 di maggio nella città di Leopoli nell’umile dimora di un povero insegnante, già padre di altri quattro figli, feci la mia prima inspirazione. La mia fanciullezza non si distingue da quella di innumerevoli altri fanciulli della mia condizione, salvo forse che a casa nostra si mangiava un po’ di meno che in molte altre case della mia città natale. A scuola progredivo regolarmente, ma non mi distinguevo che in materie di poca importanza come religione, canto e calligrafia. Nel “fare i conti” non sono mai stato molto forte, e credo che non lo sono neanche oggi. Ciò nondimeno quando nel 1914 la città di Leopoli fu invasa dai Russi e le scuole rimasero chiuse, era io, allora dodicenne, che trovai una specie di impiego punto[3] quale aiuto contabile e il mio piccolo stipendio contribuì a tenere a galla la nostra fragile barchetta familiare in quel periodo di grave disagio.


1918 – Novembre, fine della guerra. Al momento dello sfacelo della monarchia austro-ungarica risorge dopo un secolo di schiavitù la repubblica polacca. La famigerata brigata del generale Haller tristemente nota per le sue prodezze contro l’inerme popolazione ebraica occupa la città di Leopoli e nell’ebrezza della vittoria danno libero sfogo ai loro istinti antiebraici lungamente repressi organizzando un “pogrom” cioè un massacro di innocenti nel quartiere ebraico, saccheggiando e uccidendo. La “Grande Sinagoga” del XV° secolo viene data alle fiamme e le sentinelle dei “bravi” del generale Haller sparano su chiunque tentasse di domare l’incendio. In quei giorni decise un consiglio di famiglia di farmi emigrare per evitare che io possa mai diventare un soldato dell’esercito polacco. Fu stabilito di mandarmi in Palestina. Ebbe subito inizio la mia preparazione fisica e spirituale e nel mese di maggio del 1919 munito della benedizione di mio padre e di mia madre ed equipaggiato di molti buoni consigli, con uno zaino sulle spalle contenente oltre i libri di preghiera, quattro camicie e un paio di scarpe di ricambio e con pochi soldi di viaggio in un sacchettino di tela appeso al collo lasciai il focolare domestico e andai a ricostruire il Focolare nazionale ebraico nella Terra promessa.


Il viaggio si tramutò presto in una peregrinazione satura di tempestose vicende, durò oltre tre mesi, ma una bella mattina sotto un sole cocente sbarcai felice e commosso nel porto di Giaffa.


Andai a vivere in una colonia agricola nel pressi di Tel Aviv chiamata Petah Tikva[4] che significa Porta della speranza. Pieno di ardore mi misi al lavoro. Incominciai a servire Dio con la vanga e il piccone. Ho spaccato pietre per la costruzione di strade, ho fatto lavori di drenaggio per il prosciugamento di terreni paludosi ed ho conosciuto tutti i lavori agricoli dai più umili ai più elevati. E’ stato un tirocinio duro ma utile per me e per la collettività.


1924- Erano passati cinque anni di lavoro e di sacrifici dedicati interamente alla rinascita della nostra antica terra. Finito il periodo che io considero “servizio” decisi di tornare in Europa per apprendere un’arte o una professione fonte di sussistenza per il resto della mia vita. Lasciai la Palestina il 1° luglio 1924 all’ora del tramonto. Avevo con me sei sterline raggranellate con molta fatica e in un cestello di vimini oltre il libro di preghiere, due camicie e niente scarpe di ricambio.


Stavolta il viaggio non durò che pochi giorni. Il 7 luglio sbarcai a Trieste e un giorno dopo giunsi a Vienna. Avevo scelto Vienna perché all’epoca là si poteva vivere e studiare con pochi soldi. Non conoscevo nessuno a Vienna e della lingua tedesca ne sapevo quel poco che avevo imparato a scuola. Dopo qualche giorno per un puro incidente ebbi la fortuna di conoscere un signore che poi si rivelò uno dei più insigni dentisti della capitale austriaca. Si chiamava Alois Grabkovicz. E’ stato lui che mi consigliò di dedicarmi all’odontotecnica, e nel suo laboratorio appresi i primi elementi di un’arte che esercito tuttora. Presi passione per il nuovo lavoro e feci in cinque mesi tanta strada quanto gli altri fanno in due o tre anni. Rimanevo nel laboratorio almeno dodici ore al giorno. Tutte le sere dalle 8 alle 10 frequentavo dei corsi di lingua e letteratura tedesche. Mi nutrivo di solo pane e frutta, ma nonostante la disperata economia il mio gruzzolo andava scemando. Dovevo per forza trovare un impiego retribuito e lo trovai nel laboratorio del tuttora vivente e assai noto autore di libri professionali Josef Vachuda I° assistente del Prof. Weiser dell’Università di Vienna. Il 2 gennaio 1925 occupai per la prima volta il mio posto nel laboratorio Vachuda. Sotto la personale guida di quell’illustre maestro gettai le fondamenta, solide e profonde, per la futura costruzione. In quell’epoca incominciai a frequentare regolarmente l’Istituto di perfezionamento professionale, dove l’8 novembre 1927 diedi l’ultimo esame e presi il diploma di abilitazione. Pochi anni dopo e precisamente nel 1931 sono stato chiamato all’insegnamento di metallurgia nello stesso Istituto che quattro anni prima avevo frequentato come allievo. Insegnai dal 1931 al 1934. Nel 1929 pubblicai il mio primo articolo professionale nella Rivista “Zahntechniker Zeitung”[5] era una estesa recensione del classico trattato di Karl Koller “Abnehmbare Bruecken u. gestuetzte Prothesen[6]”. Ho continuato poi a scrivere articoli per la rivista “Zahntechniker Zeitung” fino alla fine del 1934 cioè fino a quando hanno cominciato a precludere a noi ebrei le vie di attività. Rimasi nel laboratorio Vachuda cinque anni cioè fino al 31 dicembre 1930-1931. Il 2 gennaio 1931 feci un altro balzo in avanti. Sono stato assunto dal Prof. N. Tischler come suo assistente tecnico. Ebbi così occasione di studiare e praticare il vasto campo dell’ortodonzia, e di prender parte nell’approntare i preparati per i suoi corsi universitari. In quell’ambiente conobbi molti dentisti stranieri venuti a Vienna per lo studio dell’ortodonzia. Vi era tra quelli un certo Dott. Negrisoli[7] di Bergamo, un giovane dentista abile e simpatico, e tra di noi si svilupparono ben presto vincoli di duratura amicizia.


Nel 1933 passai le mie vacanze a Bergamo ospite del Dott. Negrisoli. Nel 1935 subdorando che le cose a Vienna per noi ebrei si mettevano male, ed essendo il Dott. Negrisoli sempre disposto ad accogliermi nel suo studio, feci le mie valigie, che stavolta erano molte, e mi trasferii in Italia.


1935-Giunsi a Bergamo il 5 ottobre. Mi diedi subito allo studio della lingua italiana e sotto la guida di Rosetta Locatelli, sorella di Antonio Locatelli, triplice medaglia d’oro, che ebbi la fortuna di conoscere. Mamma Locatelli mi trattava come un figlio e il nostro reciproco affetto non subì mai mutamenti fino alla sua morte.


L’incontro con la sig.ra Locatelli[8], madre di Antonio, avvenne per caso nello studio del dr. Negrisoli, Jacob lo racconta in una lettera inviata a L’Eco di Bergamo in occasione del venticinquesimo anniversario della morte[9]:


La guardavo in silenzio l’anziana signora semplice e modesta, vestita di nero, senza comprendere perché tutti la trattassero con tanta riverenza, del suo leggendario figliolo, delle tre medaglie d’oro al valor militare, in quell’epoca non sapevo niente. Ci parlavamo, se così si può dire, a gesti, a gemiti, a singole parole, perché anche della lingua italiana io a quell’epoca lontana non sapevo ancora niente. Ebbi però presto l’impressione che ella mi intendesse benissimo. Mi scrutava con i suoi occhi chiari che penetravano fino in fondo al cuore… A mano a mano nasceva tra di noi una reciproca simpatia. Amo credere che dalla mia frammentaria descrizione del terrore nazista ella, con la primitiva sapienza dei montanari, intravvide con molto anticipo i sinistri bagliori della tempesta che stava per abbattersi sul mondo civile. Senza troppo badare ai pregiudizi dell’ambiente provinciale in cui viveva, mi invitò a frequentare la sua casa e si adoperò, nei limiti delle sue ristrette possibilità, ad alleggerire il mio fardello


Continua il racconto della vita di Jacob:


I primi tre anni del mio soggiorno bergamasco e precisamente fino all’apparizione delle leggi razziali, appartengono senz’altro ai periodi relativamente tranquilli e piacevoli della mia vita. In quest’epoca ero socio ordinario del Club Alpino Italiano e socio attivo dell’Associazione Fotografica Italiana.


1939 – Guerra. La Germania occupa la Cecoslovacchia e assale la Polonia. Si notano i primi sintomi di persecuzione razziale anche in Italia. Ciò nonostante declino un invito del Prof. Tischler di trasferirmi a Londra dove lui vittima dei nazisti aveva trovato ospitalità. Gli scrissi in proposito: “Fin quando non mi metteranno letteralmente alla porta non intendo lasciare i bei colli della patria bergamasca per andare a sommergermi nelle immonde nebbie londinesi.


Purtroppo avevo il segretario federale contro di me verso la fine dell’anno non era più possibile di tenere la mia posizione, dovetti andarmene via da Bergamo.


Jacob si era ben integrato nella società bergamasca, e si sentiva grato alla nazione che lo ospitava al punto da offrire una donazione per la raccolta della campagna “Oro per la patria” del 1936, sua una offerta di gr. 20,40 di oro[10] come riporta il giornale cittadino.


Forse fu proprio il rapporto con la famiglia Locatelli a provocare l’ostilità del segretario federale: la famiglia di quello che era sbandierato come gloria del fascismo non poteva continuare ad essere frequentata da un ebreo, in sfregio al nuovo corso antisemita del razzismo fascista; Jacob lasciò Bergamo nel gennaio 1940. All’anagrafe venne cancellato d’ufficio per irreperibilità al censimento solo il 3 novembre 1953: dato che la sua presenza era nota alla questura di Roma che lo arrestò e internò dopo lo scoppio della guerra, possiamo supporre che si fosse trasferito a Roma senza fare le registrazioni anagrafiche, poco probabile visto il suo status di straniero apolide, o a un qualche errore nella registrazione dei dati.


Mi trasferii a Roma ove giunsi l’8 gennaio 1940. Qui conobbi il Prof. Arrigo Piperno, dentista di chiara fama, che mi affidò l’esecuzione di protesi di personaggi più illustri della città del Vaticano.


1940-10 giugno, l’Italia entra in guerra. Sabato 22 giugno 1940 nella mia abitazione di via Po 5 fui arrestato da un agente della P.S. ed associato alle carceri di Regina Coeli ove venni rinchiuso nella cella n. 143, 3° braccio.


Il 5 Luglio alle 7 del mattino mi chiamano in direzione “con tutta la roba”. Trovai nella direzione un’altra quindicina di correligionari. “Si parte” ci dissero, “vi mandiamo in villeggiatura”. Fummo rinchiusi nella camera di transito e lasciati per tutta la giornata senza cibo. Verso sera arrivò un manipolo di carabinieri, ci misero le manette, più una catena che univa tre o quattro uomini e così fummo portati alla stazione di partenza verso ignota destinazione.


Il campo di concentramento di Ferramonti ove ci hanno portato assomigliava in quei giorni più ad un cantiere che ad un campo. Centinaia di operai si davano da fare per erigere le prime baracche. E in questa che avrebbe continuato a essere una triste palude solitaria le asprezze della guerra facevano sorgere un insolito abitato con insoliti abitanti. Venivano da lontano gli abitanti di Ferramonti costretti dall’avversità della sorte, testimonianze viventi del travaglio che tormentava l’umanità. Tra le pareti di quelle lunghe file di bianche baracche campava gente di diverse lingue e di diversi gradi sociali, tutti equiparati nelle diuturne amarezze e nell’ansia dell’incerto domani.


Vale qui la pena ricordare un altro aspetto della sig.ra Locatelli, che nell’articolo citato Jacob racconta: “Subito dopo il mio arresto i soliti “amici carissimi” si dileguarono come nebbia ai primi raggi del sole. Avevano paura di compromettersi … Unica eccezione, Mamma Locatelli, che il signore l’abbia in gloria. Lei sola, da sempre avvezza a detestare l’ipocrisia e il supino conformismo, ebbe il coraggio di conservare rapporti di amicizia con un giovane ebreo straniero relegato in campo di concentramento.


Continua il racconto:


E’ doveroso ricordare, che sebbene le circostanze ci furono avverse, le autorità del campo ci hanno sempre trattato con comprensione e assistiti nel più umano e dignitoso dei modi, e soprattutto per merito del direttore Dott. Paolo Salvatore[11] funzionario di P.S. Chiunque abbia vissuto fra le pareti di quelle bianche baracche serberà il ricordo della commovente bontà del popolo italiano.


Anche al campo di concentramento non rimasi del tutto inoperoso. Subito dopo il mio arrivo divenni interprete nell’ufficio della direzione del campo, e dopo qualche tempo passai alle dipendenze del maresciallo Gaetano Marrari come segretario volontario dell’Ufficio Comando Stazione di P.S. ove rimasi fino all’arrivo degli alleati. Nelle ore libere curavo gratuitamente i denti di internati bisognosi in un piccolo ambulatorio che con molta fatica sono riuscito ad organizzare.


Dopo l’armistizio dell’8 settembre l’autorità italiana abbandonò il campo e la mattina del 14 settembre 1943 entrarono nel campo i primi camion inglesi. Da quel momento il campo di Ferramonti di Tarsia ebbe una conduzione ebraica. Il campo fu ufficialmente chiuso l’11 dicembre 1945. Jacob però si fermò poco, ormai era una persona libera e in quanto odontotecnico specializzato poté facilmente cercare e trovare un lavoro, tornare alla vita civile e avviare anche la ricerca di notizie sulla sorte della sua famiglia.


1943 – 8 settembre armistizio. Fine dell’internamento.


Da soldati e ufficiali alleati venuti in visita al nostro campo abbiamo saputo dell’immane tragedia che colpì il popolo ebraico di tutta l’Europa. Le prime voci che ci giungevano erano così orrende da essere quasi incredibili. Abbiamo saputo dei “vagoni piombati” delle “camere a gas” e dei progetti per lo sterminio integrale degli ebrei. Mi misi subito alla ricerca della mia famiglia, ma man mano che il tempo passava divenne sempre più chiaro che disgraziatamente nessuno della mia famiglia è riuscito a sfuggire alle atrocità naziste. I miei quattro fratelli e le loro famiglie, complessivamente 19 persone sono stati tutti trucidati dagli eroi del “Terzo Reich”. Rimasi solo. L’ultimo superstite di una vecchia stirpe.


Il 1° novembre lasciai il campo e mi trasferii a Cosenza, ove apersi e gestii lo studio dentistico del Dott. Carmine Piragine che risiedeva a Castrovillari. Mi impegnò di rimanervi un anno.


1944 – Nel frattempo si libera Roma, e così alla scadenza del mio impegno col Dott. Piragine faccio le valige e muovo verso nord incurante del dilagante banditismo stradale. Giungo a Roma il 17 dicembre 1944. Dopo un’assenza di quasi cinque anni era ritornato al punto di partenza. Mi sembra superfluo che io mi dilunghi a narrare le difficoltà dei primi tempi del mio soggiorno romano. Le autorità di polizia tanto bene informate circa le mie abitudini di vita e di lavoro ne conoscono ormai ogni particolare. Mi auguro soltanto che quanto ho brevemente esposto induca le Autorità a più benevola comprensione del mio caso e consenta Loro di arrivare ad una positiva conclusione della mia domanda.






[1] La scheda anagrafica di Bergamo lo registra come Iacob Schwarz, mentre nella sua memoria Jakob usa la J come iniziale; giunge a Bergamo da Vienna il 19 dicembre 1935, è indicato come apolide; verrà cancellato per irreperibilità il 3 novembre 1953.


[2] CDEC, Fondo Israel Kalk, busta 6, fascicolo 77.


[3] La parola “punto” è utilizzata in luogo di “appunto”.


[4] Petah Tiqwa o Petah Tikva, nota anche come Em HaMoshavot (madre delle “Moshavot”, insediamenti agricoli ebraici in Palestina), è ora una città nel Distretto Centrale di Israele, situata 10 km ad est di Tel Aviv. Fu fondata nel 1878, principalmente da ebrei religiosi ortodossi, e divenne un insediamento permanente nel 1883 con l’aiuto finanziario del barone Edmond de Rothschild.


[5] “Zahntechniker Zeitung”, “Giornale odontotecnico”.


[6] “Abnehmbare Bruecken u. gestuetzte Prothesen”, traduzione letterale “Ponti rimovibili e protesi supportate”.


[7] Dovrebbe trattarsi del dott. Aldo Negrisoli, figlio del dott. Francesco Negrisoli che aveva a Bergamo uno studio dentistico. Francesco era nato nel 1877, esercitava in Bergamo negli anni trenta, Aldo, nato nel 1907, aveva seguito la professione paterna e nel 1932 aveva venticinque anni, giusto l’età per frequentare un corso di specializzazione post laurea.


[8] Anna Gelfi in Locatelli.


[9] Mamma Locatelli, Ricorrono oggi 25 anni dalla sua scomparsa, L’Eco di Bergamo, 23 marzo 1973.


[10] Oro alla patria, L’Eco di Bergamo, 21 dicembre 1935; il nome citato nell’articolo è Jarab e non Jacob, non essendoci nessun residente con tale nome in città, l’identificazione con Jacob Schwarz è quasi certa.


[11] Paolo Salvatore nasce a Carife (AV) nel 1899. Partecipa alla prima guerra mondiale e successivamente si unisce a D’Annunzio quale legionario fiumano. Nel 1928 inizia la sua carriera nella Pubblica Sicurezza e, dopo vari incarichi, dirige come commissario la colonia di confine politico prima a Ventotene e poi a Ponza, dove si distingue dai predecessori per la sua carica di umanità e dove abolisce tutte le misure inutilmente persecutorie nei confronti degli internati imposte dai suoi predecessori. Nominato direttore di Ferramonti, si distingue anche qui per il suo comportamento umano, come viene riconosciuto da tutte le testimonianze. Averoff-Tossizza, una delle più importanti figure politiche della Grecia moderna e più volte ministro, fu internato a Ferramonti ed ebbe con Salvatore rapporti più che cordiali. In occasione della traduzione italiana di un suo libro riguardante la sua esperienza di prigioniero in Italia e a Ferramonti, rintracciò Paolo Salvatore e gli regalò una copia del libro con una dedica più che significativa, dove definisce Salvatore un uomo “che ha saputo, in giorni neri, onorare il nome dell’Italia”. Non sembra che ci siano molti casi in cui un “prigioniero” stigmatizzi così il proprio “carceriere”. Gariwo, la foresta dei Giusti, acronimo di Gardens of the Righteous Worldwide, è un’organizzazione no profit con sede a Milano e collaborazioni internazionali, operante dal 1999 per tenere viva la memoria dei Giusti, https://it.gariwo.net/giusti/biografie-dei-giusti/shoah-e-nazismo/storie-segnalate-dagli-utenti/paolo-salvatore-1543.html.