scheda completa

Muggia Giuseppe

Giuseppe Muggia e la sua famiglia


Bergamo


Scheda di famiglia


Giuseppe Muggia, nato a Busseto il 25 aprile 1877, la moglie Maria Levi, nata a Treviso l’8 giugno 1884 e la figlia Franca, nata a Venezia il 15 aprile 1909.

(Capitoli di riferimento: Il censimento degli ebrei nella provincia di Bergamo / Le conseguenze a Bergamo / Ebrei censiti a Bergamo nel 1938 catturati in altre province e deportati)


Medico psichiatra[1], Giuseppe Muggia era giunto a Bergamo nel 1931 con la moglie Maria Ester Anna Levi e la figlia Franca per assumere l’incarico di direttore dell’Ospedale Neuropsichiatrico Provinciale. Degli ebrei censiti è stata la persona oggetto di maggiore attenzione da parte del quotidiano locale, “L’Eco di Bergamo”, che di lui si occupò in più occasioni[2].


Un primo profilo del Dr. Muggia ci viene fornito in occasione della visita del vescovo Bernareggi all’Ospedale Neuropsichiatrico nel 1932[3]:


[…] del prof. Muggia, simpatica figura di medico e direttore, animatore, appassionato del suo mandato, al quale è giunto preparato da una lunga disciplina di studi e di missione, assai benvoluto dai malati, che si rivolgevano a lui confidenzialmente, avendo egli per tutti una parola, un sorriso, un augurio; […]


Questo dubbio abbiamo espresso al prof. Muggia, che abbiamo visto stringersi nelle spalle: “Noi studiamo ed operiamo per un trionfo del domani. Intanto la prima cura che facciamo ai nostri ammalati è quella della psicoterapia, che agisce efficacemente e prontamente, da quando gli ammalati sono fra noi, lontano dai parenti e dalle cause eccitanti e determinanti l’aberrazione mentale. Il riposo, l’alimentazione regolata, coattiva in caso di rifiuto, le cure ricostituenti, sedative, il lavoro, il modo di trattare, ecco il complesso di quello che possiamo fare, tentare ed esperire”. Lo scampanellio del tram mi fa congedare dall’illustre psichiatra, non prima di avergli domandato del successo dell’ambulatorio di malattie mentali. Il volto del professore si rianima: sono le sue creature! “Bene, bene! Specialmente quello di Treviglio. Ma ho bisogno della collaborazione della stampa”.


Quest’ultima notazione mette in evidenza uno degli impegni perseguiti con vigore dal dottor Muggia: è del novembre 1931, a poco più di un mese dall’arrivo del nuovo direttore, la decisione dell’Amministrazione provinciale (allora competente in materia di assistenza psichiatrica) di istituire un dispensario neuropsichiatrico, dispensari già moltiplicati e presenti nei principali centri della provincia nel 1933[4].


In più articoli si evidenzia la preoccupazione del Dr. Muggia per la diagnosi precoce e la cura del disagio psichiatrico infantile, tema che ricorre con frequenza nei suoi interventi extra moenia, sia con l’assistenza gratuita prestata all’Opera nazionale Balilla[5] sia con conferenze agli insegnanti[6].


Ma chi era questo direttore che in così breve tempo riuscì a convincere le non certo facilmente disponibili autorità a investire per sperimentare un nuovo approccio alla malattia mentale?


Giuseppe Muggia[7] era nato nel 1877 a Busseto, in provincia di Parma, da una famiglia originaria della vicina Cortemaggiore, sede di una numerosa comunità ebraica presente fin dalla prima età moderna. Frequentò il liceo classico ‘Manin’ di Cremona, dove ebbe come insegnante di Storia il cremonese Arcangelo Ghisleri (1855-1938)[8]. Il rapporto del giovane Muggia con il nuovo, affascinante professore – repubblicano, geografo, positivista, anticlericale, libero pensatore, pubblicista – fu molto significativo nella vita di Muggia e segnò l’inizio di una lunga vicenda, che portò l’insegnante e l’allievo a ritrovarsi, oltre trent’anni dopo, proprio a Bergamo. Concluso il liceo Muggia si iscrisse alla facoltà di medicina di Bologna, conservando però i rapporti con l’ambiente cremonese tanto da collaborare con “L’Eco del Popolo, Giornale Socialista”. Muggia si laureò il 2 luglio 1901 in Medicina e Chirurgia all’Università di Bologna con la tesi “Il ferro e l’idrogeno solforato nelle feci umane”. Poco dopo la laurea, il 31 luglio 1901 divenne assistente di Ruggero Tambroni, marchigiano, direttore dell’ospedale psichiatrico di Ferrara. Insieme a quello di San Lazzaro a Reggio Emilia, il nosocomio di Ferrara svolse un ruolo importante nella storia dei manicomi e della psichiatria italiana grazie all’impulso fornito da Girolamo Gambari, direttore dal 1858, e all’attività dei due psichiatri che lo avevano diretto dal 1872, dopo la morte di Gambari: Clodomiro Bonfigli (1838-1909) e appunto Tambroni. 

Bonfigli manifestava un sensibilità “sociale” nei confronti della malattie mentale: non gli sfuggivano le connessioni tra le condizioni socio-economiche di molti suoi pazienti e la loro patologia psichiatrica, come ad esempio la follia da pellagra, sensibilità che successivamente fu anche di Tambroni e Muggia. La formazione professionale di Muggia si svolse in un periodo di grande fermento sia teorico che legislativo della psichiatria italiana, fermento a cui Muggia partecipò attivamente. Negli anni della maturità professionale, trascorsi prima a Sondrio e poi a Bergamo, fu la concretezza della realtà clinica a spingerlo in una direzione ben precisa: quella del programma di “Igiene mentale”, che consisteva nel cercare di intervenire su alcune delle cause che portavano in manicomio numerose persone, cause derivanti dalle condizioni sociali (pellagra, gozzo, alcoolismo, tubercolosi, sifilide) programma in cui tradusse in pratica anche la sensibilità politico-sociale che gli derivava dalla sua formazione giovanile positivista e socialista.


Muggia assunse la direzione del nuovo manicomio di Sondrio nel 1912, lasciando il San Servolo di Venezia, e vi rimase fino al trasferimento a Bergamo. L’esperienza di Sondrio fu centrale nella vita di Muggia, per la sua durata, dal 1912 al 1931, e per l’impegno profuso nel campo della profilassi gozzo-cretinica e, più in generale, per la prevenzione e l’igiene mentale. Il caso del gozzo-cretinismo, dovuto alla carenza di iodio nel cibo e nelle bevande, ne fu l’esempio più significativo.


L’emergenza al contempo psichiatrica e sociale del gozzo-cretinismo nella provincia di Sondrio assorbì la quasi totalità dell’impegno professionale di Muggia, che visitò personalmente almeno il 55% della popolazione scolastica elementare valtellinese. Nel 1921 fondò il Comitato Valtellinese per la lotta contro il gozzo, che procedette motu proprio a distribuire cioccolatini iodurati agli alunni delle scuole elementari della provincia di Sondrio e, dall’aprile 1925, la stessa Direzione Generale della Sanità Pubblica mise tacitamente in vendita sale grosso da cucina addizionato di un grammo per quintale di ioduro di potassio per tutta la popolazione. I risultati, con la progressiva scomparsa del fenomeno già nei primi anni Trenta, furono notevoli e Muggia li comunicò in conferenze internazionali sul tema tenutesi a Berna, tanto che nel 1934 la distribuzione del sale iodurato fu estesa anche alle altre provincie.


Sondrio fu anche il luogo della prima formazione dei figli: Giulio, nato nel 1907 e Franca, nata nel 1909, frequentarono il locale liceo. Conseguito il diploma Giulio si trasferì a Torino dove frequentò la facoltà di medicina e dove entrò in contatto con i locali esponenti antifascisti di Giustizia e Libertà. Giulio fu fra i firmatari della lettera di solidarietà a Croce contro le ingiurie espresse contro di lui in senato da Mussolini. La lettera intercettata dalla polizia portò all’arresto dei firmatari il 30 e 31 maggio 1929, fra di essi anche Giulio Muggia, che il 4 giugno venne condannato a tre anni di confino, poi commutati in ammonizione di due mesi, Giulio poté così proseguire gli studi e laurearsi nel 1931. Dopo la laurea Giulio seguì la strada paterna dedicandosi alla psichiatria, il 10 ottobre 1934 si sposò con Carla Malvano, figlia di una delle più note famiglie ebraiche borghesi di Torino. Giulio continuò a frequentare gli ambienti dell’antifascismo torinese di Giustizia e Libertà, ma i membri del gruppo torinese, a seguito di una delazione, furono arrestati il 15 maggio 1935. Tradotto a Roma, Giulio fu condannato a 3 anni di confino a Pietragalla (PZ), dove rimase fino al 14 novembre, quando venne prosciolto condizionalmente, probabilmente grazie anche alle influenti conoscenze della famiglia Malvano. 


Franca dopo il diploma non proseguì gli studi e seguì la famiglia a Bergamo; si recava spesso a trovare il fratello, e fu per suo tramite che entrò in contatto con il gruppo sionista di Torino e conobbe Leo Levi, il cui obiettivo era il rinnovamento del sionismo italiano. Contrariamente al fratello, che non aveva aderito al gruppo sionista, Franca vi aderì e partecipò all’organizzazione sia dei campeggi ebraici, realizzati da Leo Levi[9] per formare e selezionare giovani disposti ad andare in Palestina, sia dei viaggi in Eretz Israel, volti a rafforzare i sionisti italiani in prospettiva di un’emigrazione definitiva. Queste attività determinarono in Franca, proveniente da una famiglia profondamente laica e positivista, una “scoperta” del proprio ebraismo (nel settembre 1936 iniziò a studiare la lingua ebraica) che sempre più orientò le sue scelte, determinando la sua attiva partecipazione alla preparazione dei giovani ebrei italiani all’emigrazione in Palestina, attività condizionata solo dall’assistenza ai propri genitori. Così, lungo tutti gli anni Trenta, in particolare attraverso l’esperienza dei campeggi, Franca definì progressivamente la propria identità ebraica nella prospettiva del sionismo, sforzandosi di vivere “abbastanza ebraicamente” anche nella vita quotidiana, mettendo in discussione la formazione ricevuta[10], non senza incomprensioni con il padre, lontano oltre che dalla religione anche dalle idee sioniste.


Il manicomio di Bergamo era stato precedentemente guidato da psichiatri quali Scipione Marzocchi, promotore della costruzione del nuovo ospedale realizzato su progetto di Elia Fornoni e aperto nel 1892. Scipione Marzocchi aveva saputo convincere una refrattaria amministrazione provinciale che il manicomio doveva non essere solo un asilo di pietosa assistenza, ma un ospedale di cura per le malattie mentali. La sua opera era stata proseguita da Luigi Lugiato, diventato direttore nel 1920[11].


Fu su questa linea, come abbiamo visto dall’articolo di L’Eco di Bergamo, che si mosse anche Giuseppe Muggia, allargando però le prospettive ai problemi del territorio e al contesto sociale e sanitario da cui originano molti casi di insanità mentale.


Un altro esempio della sua attenzione alle cause ambientali della patologia mentale fu la sua collaborazione agli studi epidemiologici sulla tubercolosi presso i suoi pazienti, collaborazione da cui nacque l’installazione presso l’ospedale neuropsichiatrico di un apparecchio radiografico che consentì il monitoraggio della malattia tra i pazienti e l’adozione di misure preventive e curative[12].


Importanti anche per una conoscenza della situazione psichiatrica del territorio e della conduzione dell’ospedale sono poi tre articoli del 1934[13] che riferiscono della relazione presentata dal Dr. Muggia al Preside della provincia, e delle numerose iniziative prese per il miglioramento delle strutture, delle terapie e del monitoraggio delle condizioni di salute dei pazienti dell’ospedale.


Un ultimo articolo dell’agosto del 1935[14] segnala la partecipazione di Giuseppe Muggia ad una conferenza internazionale per la lotta contro il gozzo.


A Bergamo il dr. Muggia ebbe l’occasione di ritrovare anche un suo vecchio amico: Arcangelo Ghisleri, e di stringere amicizia con altri due medici: il giovane psichiatra Amos Chiabov e il primario di oculistica dell’Ospedale Maggiore, Achille Viterbi.


Lo stimato e apprezzato direttore dell’Ospedale Psichiatrico era però ebreo e con la promulgazione delle leggi razziali, dopo 8 anni di feconda attività, fu costretto ad abbandonare la sua opera e l’incarico e, dovendo lasciare l’appartamento in cui viveva all’interno dell’ospedale psichiatrico, decise di abbandonare anche Bergamo e trasferirsi con la famiglia a Venezia il 29 marzo 1939.


L’effetto delle leggi razziali fu traumatico non solo per Giuseppe, ma per l’intera famiglia: anche Giulio perse il suo lavoro di responsabile medico alla Olivetti di Ivrea e, dopo essersi anche consultato con la propria famiglia (fu l’ultima volta che vide il padre, la madre e la sorella) decise di partire per la Palestina. Il 31 marzo 1939 raggiunse Tel Aviv, dove in seguito, il 30 settembre, fu raggiunto dalla moglie e dal figlio. E’ curioso come Giulio, che mai aveva pensato di emigrare in Palestina, sia stato il primo e l’unico a poterla raggiungere, mentre Franca, sionista convinta e attivista, non se la sentì di lasciare i genitori e emigrare, pur avendone la possibilità.


Le leggi razziali mutarono anche l’atteggiamento di Giuseppe Muggia verso le idee della figlia, al punto da lasciarsi coinvolgere, nella sua qualità di psichiatra, nella selezione di giovani adatti ad affrontare le difficoltà dell’emigrazione, finalità non ultima dei campeggi sionisti.


La guerra chiuse ogni possibilità di emigrazione verso la Palestina, Franca si impegnò allora nell’organizzazione della vita della comunità degli ebrei di Venezia, della sua attività ci racconta Roberto Bassi, suo alunno presso la scuola media ebraica[15]:


Dal 1940 al 1943 frequento la scuola media ebraica […] Alle materie tradizionali si aggiungeva un altro inse­gnamento, secondo l’ordinamento scolastico di quel tempo, vale a dire il lavoro manuale: la nostra insegnante, Franca M., era una donna giovane, dai tratti materni ma severi. Aveva una chioma corvina, pettinata con uno chignon che la invecchiava. Era figlia di un noto psi­chiatra, già direttore dell’Ospedale Psichiatrico di Son­drio, conosciuto in Italia per i suoi studi sul cretinismo legato al gozzo. Era stato naturalmente cacciato dal suo incarico ed era rientrato a Venezia. Franca, poco pri­ma della guerra andò in Palestina, ad accompagnare un gruppo di ragazzi in fuga dall’Europa: in questa occa­sione incontrò il fratello Giulio, anch’ egli psichiatra, che vi si era trasferito. Per non lasciare soli i genitori an­ziani, Franca tornò in Italia […] Tutto quello che Franca M. ci insegnava a fare era legato alle circostanze particolari in cui vivevamo […] Uno dei grossi lavori fatti sotto la guida di Franca M. fu l’elenco telefonico giudaico: quando venne l’or­dine di depennare dagli elenchi del telefono i nomi de­gli ebrei[16], come fare a telefonare ad un amico? Battemmo a macchina, con abbondante uso di carta carbone, i nomi ed i numeri telefonici degli ebrei di Venezia. Non erano molti. Furono fatti elenchi da tavolo e tascabi­li: questi ultimi raccolti in piccole copertine di pelle stam­pata. Il nostro lavoro andò «bruciato» in pochi gior­ni. 


Scheda di deportazione


Giuseppe Muggia, nato a Busseto il 25 aprile 1987. Ucciso all’arrivo a Auschwitz il 26 febbraio 1944. 


Maria Ester Anna Levi, nata a Treviso il 8 giugno 1884. Uccisa all’arrivo a Auschwitz il 26 febbraio 1944.


Franca Muggia, nata a Venezia il 15 aprile 1909. Deceduta in luogo e data ignoti. 


Arrestati a Venezia il 5 dicembre 1943 da italiani.


I tre arrestati dopo essere stati detenuti nel carcere di Venezia vengono inviati al campo di Fossoli e da lì deportati il 22 febbraio 1944 con il convoglio 08 che giunge ad Auschwitz il 26 gennaio 1944.


Deportati identificati 510 di cui reduci 24, deceduti 486.


La cattura degli ebrei di Venezia sarebbe iniziata prima se un disperato atto di coraggio non avesse privato i tedeschi dell’elenco nominativo dei 1209 ebrei veneziani iscritti alla comunità: Giuseppe Jona, stimatissimo e illustre medico dell’Ospedale civile di Venezia, presidente della Comunità ebraica della città, si suicidò il 17 settembre 1943 per non consegnarli. Dopo qualche sporadico arresto nei mesi precedenti, furono la polizia italiana e i militi fascisti a provvedere agli arresti: le retate iniziarono il 3 dicembre e portarono subito all’arresto di un centinaio di persone e proseguirono per alcuni giorni; il 5 dicembre venne arrestata anche la famiglia Muggia. Mario Dalla Venezia (il partigiano “Morfeo”) ricorda che per trasportare gli ebrei anziani fuori dalle loro abitazioni i fascisti li mettevano in alcune carriole da muratori, come se si trattasse di oggetti. Gli arresti continuarono poi per tutto il 1944 e portarono a 212 il numero degli ebrei identificati negli elenchi del CDEC arrestati a Venezia e deportati, ne tornarono vivi solo otto.






[1] Giuseppe Muggia si era sposato con Levi Maria Ester Anna a Verona il 20 gennaio 1907, viene a Bergamo da Sondrio il 5 novembre 1931.


[2] Gli articoli di “L’Eco di Bergamo” relativi al Dr. Muggia sono citati nello sviluppo del testo, ad essi ne vanno aggiunti   altri 3 pubblicati con i titoli e nelle date seguenti: Il nuovo direttore del Manicomio, 2 ottobre 1931; Tubercolosi e pazzia, 8 marzo 1933; La prima seduta del nuovo Rettorato provinciale, 28 novembre 1933.


[3] Sulle orme del pellegrino della carità, L’Eco di Bergamo, 8 aprile 1932.

[4] Cfr. Una nuova benemerenza dell’amm.ne Provinciale nel campo dell’igiene,L’Eco di Bergamo, 2 dicembre 1933.


[5] Cfr. Nell’Opera Nazionale Balilla,L’Eco di Bergamo, 7 luglio 1933.


[6] Cfr. Una importante conferenza del dr. Muggia, L’Eco di Bergamo 23 febbraio 1934, nell’articolo si sottolinea anche la fama che Muggia ha conseguito con le sue ricerche sul tiroidismo nelle scuole.


[7] I riferimenti alla vita di Giuseppe Muggia e dei suoi figli, quando non indicato diversamente, sono interamente tratti dall’articolo di Giorgio Mangini: Una famiglia ebraica italiana, il caso dei Muggia, in Studi e ricerche di storia contemporanea n. 78, pp. 62-84, dicembre 2012, rivista dell’ISREC di Bergamo, a cui rinvio per approfondimenti su questa famiglia.


[8] Arcangelo Ghisleri nasce a Persico (CR) nel 1855, politico di idee democratiche e repubblicane, giornalista, direttore e fondatore di numerosi periodici su cui scriveranno i maggiori rappresentati dell’intellettualità progressista e socialista italiana tra cui P. Siciliani, G. Rosa, G. Carducci, G. Bovio, A. Saffi, Jessie White Mario, E. Ferri, N. Colajanni, L. Bissolati F. Turati e R. Ardigò. Nel 1921 si stabilisce definitivamente a Bergamo proseguendo la sua attività giornalistica, che incontrò crescenti ostilità da parte del governo fascista. Muore a Bergamo il 19 agosto 1938. Per approfondimenti sulla figura di questo intellettuale così legato a Bergamo rinvio alla corposa bibliografia contenuta nella voce della Treccani on line, biografie, http://www.treccani.it/enciclopedia/arcangelo-ghisleri_%28Dizionario-Biografico%29/.


[9] Leo Levi è nato a Casale Monferrato nel 1912, musicologo, è stato uno dei primi a studiare la tradizione musicale ebraica italiana. Sionista e comunista, come leader del sionismo italiano, nell’estate del 1933 inventò i campeggi ebraici sulle Alpi dove arrivavano ragazzi ebrei da tutto il Paese per conoscere le tradizioni dell’ebraismo ed avere un assaggio dell’esperienza agricola del kibbutz.  Arrestato nel 1934 per la sua attività antifascista, gli venne consigliato di abbandonare l’Italia. Nel 1935 emigrò in Palestina, ma ritornò sovente in Italia mantenendo i contatti con l’organizzazione sionista. È morto a Gerusalemme nel 1982.


[10] Cfr. Giorgio Mangini Una famiglia ebraica italiana, op. cit., p. 73.


[11] Lugiato lasciò nel 1931 l’ospedale di Bergamo per assumere la direzione di uno dei più grandi istituti manicomiali, l’Ospedale di Mombello.


[12] Cfr. Tubercolosi e pazzia, L’Eco di Bergamo, 8 marzo 1933.


[13] Cfr. Importanti rilievi sui ricoverati nell’Ospedale Psichiatrico provinciale,L’Eco di Bergamo 23 agosto 1934; Ancora uno sguardo al funzionamento dell’Ospedale Psichiatrico, 24 agosto 1934; Una breve sosta nei corridoi dell’Ospedale Psichiatrico, 17 novembre 1934.


[14] Cfr. Il prof.  Muggia alla conferenza per la lotta contro il gozzo,L’Eco di Bergamo, 14 agosto 1935.


[15] Cfr. Roberto Bassi, Scaramucce sul lago Ladoga, Palermo, Sellerio, 2004, pp. 76-78.


[16] Circolare n. 2251/30 in data 20 Giugno 1941 del Ministero dell’Interno, Direzione Generale per la Demografia e la Razza, Divisione Razza.