“Biondo, dal viso magro, carico come un mulo, stanco e sudato”, così Aldo Ghezzi appare a Aldo Battaggion quando lo incontra nel novembre 1943 a Zambla. All’epoca Ghezzi aveva già scelto da tempo di impegnarsi per la Resistenza. L’8 settembre 1943, dopo essere riuscito a rientrare a Bergamo da Como scappando dalla caserma del 67° Reggimento fanteria, trasforma in azione concreta la sua aspirazione a un’Italia diversa da quella della dittatura fascista.
Nato il 21.07.1923 in via Pignolo 42 e cresciuto in quella parte di strada che all’inizio del ‘900 è la più popolosa della città, Aldo era l’unico figlio di Giulietta Guerini, casalinga, e Camillo, falegname e socialista, da cui eredita la passione per la politica, alimentata da un instancabile desiderio di conoscere la vita e i suoi problemi sociali.
Via Pignolo, che sale verso la città alta incontrando un museo a cielo aperto abitato dagli uomini importanti della città, ma che all’incrocio con via Verdi era ancora fino al 1925 fiancheggiata sulla destra da catapecchie fatiscenti, è certo un buon punto d’osservazione per considerare le tensioni e le contraddizioni dello sviluppo e della modernizzazione della città prima e dell’avvento del fascismo poi. Questa via, specchio dei cambiamenti sociali e politici più recenti, è per Aldo, cresciuto quando ormai il fascismo sembrava non avere rivali, la culla di una militanza rigorosa e curiosa. Già nel 1941 Aldo, giovane tipografo, entra in contatto attraverso Tobia Piccinini con Dante Paci e inizia a formarsi politicamente in riunioni clandestine tenute spesso sui bastioni di città alta, in cui si discute di marxismo, leninismo e persino di trotzkismo.
In città punto di riferimento di Aldo è la rete comunista, ma i suoi contatti sono anche con gli uomini legati a Giustizia e Libertà e impegnati nel dare una struttura logistica alla Resistenza: prima di entrare nel gruppo di Dante Paci, è compagno in molte azioni di Pasqualino Carrara e Aldo Battaggion.
Poiché impegnato in operazioni di collegamento con Milano, Aldo non è catturato nel rastrellamento che sgomina il gruppo Paci; incapace di restare nascosto e inattivo, è catturato a Bergamo. Detenuto a Sant’Agata e quindi a San Vittore, viene trasferito a Fossoli e poi a Bolzano. Luigi Minardi, anche lui tipografo e anche lui comunista, ma più vecchio di lui, lo adotta quasi come un figlio e insieme lavorano nella tipografia dei due campi prima del trasferimento di Aldo a Mauthausen (18.11.44).
Nella primavera del 1945, ad Ebensee, Aldo vede entrare gli Alleati, ma muore di stenti il 3 giugno.