“«Ragazze dobbiamo portavi alla stazione. Da lì partirete per Bergamo». […] Il treno arriva a Bergamo. Scendiamo e veniamo condotte alla caserma del 78° Fanteria, dove la guarnigione è composta da tedeschi e italiani. Ci chiudono in uno stanzone, nel quale c’è solo qualche pagliericcio per potersi stendere. Nient’altro. […] Restiamo lì per tre giorni. […] è il 17 marzo. Un ufficiale tedesco raduna nel cortile della caserma tutti i reclusi: ci mettono in colonna, in fila per cinque, e ci fanno uscire. È un corteo enorme, scortato da fascisti e tedeschi. Per strada e alla finestre ci sono un sacco di persone”, così Ines Figini ricorda il suo trasferimento a Bergamo e la sua partenza dalla Caserma Umberto I.
Ines era nata a Como nel 1922. Il padre è un panettiere, un combattente della Grande Guerra, la mamma casalinga. È la quarta di cinque figli, la prima femmina. Da bambina è molto vivace; la sorellina più piccola, Anna, più riflessiva e calma, è la vittima preferita dei suoi dispetti. In casa regna una buona disciplina imposta dal padre che però perdona la sua vivacità.
Dopo le scuole elementari vorrebbe continuare gli studi, ma la sua famiglia non può permetterselo: si iscrive quindi alla scuola complementare di avviamento professionale.
A sedici anni entra a lavorare alla Tintoria Comense, che in quegli anni è nel pieno dello sviluppo economico e per gli abitanti della zona è simbolo di sicurezza economica. Ines sa usare l’ago e il filo, ma deve fare tutta la gavetta e imparare a conoscere il processo di lavorazione della seta. Nella vivacità dei suoi vent’anni Ines è tra le atlete della Comense che promuove la formazione di una squadra di pallavolo femminile che si allena allo stadio Mariani di Como.
La guerra pesa sulla vita delle persone ed anche in fabbrica si vive la gravità del momento. Anche a Como gli scioperi del marzo 1944 sono la prima protesta di massa dopo l’avvento della dittatura.
6 marzo 1944: anche alla Comense c’è aria di sciopero e anche alla Comense l’adesione è massiccia e lo sciopero riesce. Anche Ines ha scioperato scoprendo in quella circostanza il significato della parola.
Ci sono però delle spie che denunciano i responsabili. All’uscita dalla fabbrica, gli operai e le operaie sono bloccati prima dei cancelli poiché le autorità intendono individuare e portare via i responsabili dello sciopero. è allora che Ines esce dalla fila e solidale con chi ha organizzato lo sciopero afferma: “Non è giusto portare via solo loro: abbiamo scioperato tutti, dovete arrestarci tutti! O tutti, o nessuno!”.
La notte stessa è prelevata da due fascisti.
Trasferita alla caserma Umberto I di Bergamo, parte con il convoglio 34 il 17 marzo 1944. Non immatricolata a Mauthausen, passa a Vienna (carcere), poi ad Auschwitz (matricola 76146) e infine a Ravensbrück.
Per lei che tornava il padre aveva preparato una bicicletta nuova. Ines si riprende e continua il suo lavoro: è una donna libera che ama lo sport e la montagna.
Per tanti anni è vissuta da sola in una casa vicino alla Comense, dietro alla ferrovia che costeggia lo stabilimento. Solo negli ultimi anni della sua vita è stata ricoverata in una casa di riposo sulla sponda del lago, dove ancora le brillavano gli occhi quando parlava delle sue imprese di sci alpinismo, nel silenzio e nelle nevi delle montagne che tanto amava.
Nel 2017 insieme a noi ha provato a rammentarsi del suo passaggio alla caserma Umberto I: i suoi ricordi si erano quasi tutti cancellati, ma le era rimasto impresso nella memoria l’attraversamento della città per raggiungere la stazione. Ancora il sentimento di umiliazione provato faceva tutt’uno con quello di riconoscenza per il gesto di solidarietà delle donne che si erano accalcate al passaggio dei prigionieri per dare loro qualcosa da mangiare, da bere e qualche sigaretta per il viaggio, sfidando le autorità fasciste che avevano il compito di tenerle lontane.
Ines è morta a Como il 27 settembre 2020.