Emma nasce a Bergamo il 17 aprile 1905, è la prima dei cinque figli (Amalia, 1906; Iginia 1913 e i gemelli Dora e Mario, 1918) di Vittorina Vitali insegnante elementare e Iginio Coggiola impiegato comunale a Bergamo. Cresce in una famiglia della piccola borghesia laica e liberale in cui l’istruzione, la cultura e l’arte sono considerati bisogni primari. Tutti si diplomano o si laureano e le ragazze, seguendo le orme della madre, dopo gli studi lavorano nella scuola: Amalia a Milano, dove vive con il marito, Emma, Iginia e Dora nelle scuole di Bergamo. L’antifascismo familiare, che ha radici nella cultura risorgimentale, negli anni della dittatura resta confinato nel privato, ma costituisce, assieme ad importanti incontri – Iginia per esempio era stata allieva di Ernesto Rossi – il sostrato delle scelte successive. Il 25 luglio 1943 la caduta del fascismo viene salutata come una liberazione: “non ci sembrava vero di aver riacquistato improvvisamente l’uso della parola dopo tanti anni di forzato silenzio” – dice Emma in Umili e frammentarie pagine della Resistenza a Bergamo – e lei la riacquista scrivendo il 28 agosto su “La voce di Bergamo” un articolo, in polemica con “L’Eco di Bergamo”, a difesa del pensiero di Benedetto Croce, di cui è appassionata studiosa. Di lì a poco l’8 settembre, l’occupazione tedesca della città e la rinascita del fascismo, ma per Emma, Amalia e Iginia, così come per il fratello Mario – che entrerà in clandestinità e collaborerà con la Resistenza nella zona di Pavia – era giunto il tempo in cui “la nostra volontà, le nostre energie, i nostri convincimenti e propositi, le nostre stesse persone, dovevano essere impegnati in una forma più grave, più decisa, più seria e matura”. Le Coggiola e altre donne bergamasche, accogliendo l’invito del Cln dell’Italia settentrionale per il 4 novembre 1943 anniversario della vittoria nella Prima guerra mondiale, organizzano una manifestazione “al femminile” in omaggio ai morti della Grande guerra, davanti alla Torre dei Caduti a Bergamo. La manifestazione è un successo e provoca la reazione della milizia fascista. Nei giorni successivi avvengono perquisizioni e arresti, anche casa Coggiola riceve una visita della questura. Cercano Emma per il reato – questa la giustificazione ufficiale – di collaborazione con la stampa libera durante i quarantacinque giorni (l’articolo su Croce su “La voce di Bergamo”). Inizia per lei un periodo di trasferimenti, presso conoscenti e parenti e poi a Cremona dove resta qualche settimana, e di congedi e rientri a scuola con la costante preoccupazione di essere arrestata. Nonostante questo nel marzo del 1944, quando viene introdotto il giuramento alla Rsi per tutti i pubblici dipendenti, insegnanti compresi, Emma, come Iginia, e altre e altri insegnanti si opporranno dando una dimostrazione di quanto il clima stesse cambiando anche nelle scuole. Dell’attività di aiuto delle Coggiola alla Resistenza non c’è traccia ufficiale. Ci sono i racconti nelle pagine dei diari personali, tenuti durante il 1943-45, di Amalia per la sua attività antifascista e legata all’Udi a Milano, di Emma e Iginia per Bergamo, dai quali emerge uno stretto rapporto con Giovanni Zelasco ed Ernesto Carletti, militante del Partito d’azione, entrambi colleghi di Iginia al Regio Istituto tecnico industriale “Paleocopa”, per cui le sorelle nascondono o portano documenti e informazioni. Emma, dopo la tragica morte di Giovanni Zelasco per le ferite riportate in un incidente vicino ad Algua il 30 settembre 1944, ne pubblicherà un commosso ricordo dal semplice titolo Prof. Giovanni Zelasco. Oltre a questa attività di appoggio svolta anche a favore del fratello Mario, le sorelle si impegnano in attività di propaganda clandestina in città diffondendo volantini insieme alle sorelle Maria e Rina Batzella anche loro insegnanti. Nel dopoguerra Emma, Iginia e Dora Coggiola continueranno ad avere una vita intensa, piena di lavoro, amiche e amici, passeggiate, letture, studi, pubblicazioni, articoli in difesa della scuola pubblica, traduzioni, poesia e pittura. Senza mariti e figli, circostanza questa su cui ironizzeranno spesso, facendo della riservatezza una regola, ma non rinunciando ad un proprio spazio di intervento nella sfera pubblica, le sorelle, fedeli a se stesse e alla propria indipendenza nel pensiero e nella vita, sono state un non esibito e forse involontario esempio di anticonformismo che spesso la storia delle donne ci regala. Nel 2017, alle sorelle Coggiola antifasciste, il Comune di Bergamo ha intitolato una via nel quartiere di Longuelo.