All’indomani della caduta del governo Mussolini, il 25 luglio 1943, Velia Sacchi con Mimma Quarti e Bianca Artifoni e altre donne di cui non conosciamo il nome sentono la necessità di passare ad un’azione ancora più concreta di lotta contro il regime fascista e soprattutto a favore della fine immediata del conflitto e di una autentica e profonda emancipazione femminile.
Insieme danno vita alla “Associazione femminile per la pace e la libertà”, ispirandosi a Louise Michel, l’anarchica francese della Comune di Parigi.
Tale iniziativa, benché non raggiunga alcuno degli obiettivi che si è posta (tra i quali la richiesta di uguali diritti nel campo del lavoro e nel campo sociale e civile per le donne), riveste un particolare significato e una profonda connotazione, che vanno ben al di là delle immediate rivendicazioni per cui l’associazione è nata.
Non si tratta infatti soltanto di una protesta nei confronti del regime fascista che, fra tanti crimini, ha anche la responsabilità di aver condotto la nazione in una guerra, di cui la maggioranza della popolazione auspica la conclusione; si tratta, soprattutto partendo dall’osservazione della condizione femminile, di ribaltare quella logica impostata ed alimentata dal fascismo, che relega la donna in una posizione subalterna all’interno delle mura domestiche, solo limitata alla cura della prole.
Tra le prime azioni dell’Associazione vi è la stampa e la distribuzione presso il Liceo Sarpi di un volantino in cui, rivolgendosi alle donne, le si invita ad opporsi con ogni mezzo alla guerra, spingendole così non ad una generica protesta, ma ad un preciso atto politico, contro quel regime che ha fortemente voluto il conflitto mondiale.
“L’Associazione femminile per la pace e la libertà”, per questa sua connotazione emancipatoria, resta un caso unico nel panorama dei comitati nati spontaneamente dopo la caduta del regime.
L’Associazione confluisce nei Gruppi di Difesa della Donna, che vengono costituiti a Milano nell’ottobre 1943 da donne aderenti ai partiti del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. Fin dall’inizio i Gruppi di Difesa della Donna si prefiggono di agire nella Resistenza e sono portatori di una forte volontà di emancipazione femminile tesa a riconoscere alla donna un ruolo di cittadina attiva e cosciente dei propri diritti.
Il nome dell’organizzazione non è del tutto apprezzato dalle donne e anche a Bergamo suscita qualche perplessità. “Confesso che quando ho visto il nome […] ho avuto l’idea che fossimo ausiliarie, il pendant dell’esercito, avevamo il compito di aiuto e non di protagoniste. Siamo rimaste scettiche, però c’erano i vantaggi pratici, poi ci hanno detto che eravamo rappresentate nel Comitato di Liberazione” (Velia Sacchi, Io non sto a guardare, a cura di R. Pesenti, Manni, 2015). Dall’ottobre 1944 i Gruppi di Difesa sono effettivamente presenti nei Cln, ma con diritto di voto solo consultivo.
Dalla fine del 1943 i Gruppi di Difesa fondano un proprio organo di stampa, “Noi donne”, che riprende il titolo della rivista pubblicata in Francia dal 1936 da un gruppo di donne fuoriuscite. “Noi donne” è pubblicato clandestinamente.