Ilda Sonnino nasce a Genova il 17 luglio 1904 e giunge a Bergamo con la sua famiglia agli inizi degli anni Venti.
Il padre, insieme al primo figlio Pilade (1904), si dedica al commercio di tessuti ed è probabilmente questo il motivo del loro trasferimento. La famiglia abita le vecchie strade dell’antico Borgo San Leonardo, ma hanno in pieno centro il proprio negozio. Pilade, ebreo non praticante, si sposa nel 1924 con Luigia Caspis, bergamasca e cattolica: si trasferiscono per un periodo a Vercelli e lì nel 1925 nasce Argìa. Nel 1927 la famiglia di Pilade ritorna a Bergamo e, dopo alcuni cambi di residenza, si trasferisce vicino alla casa dei genitori in via Moroni, al n. 24.
Nel primo censimento dei cittadini di “razza ebraica”, quello dell’agosto 1938, gli anziani genitori, i figli e la nipote Argia sono tutti registrati. I genitori risultano abitare in via San Bernardino n. 22 e il padre è dichiarato inabile al lavoro. Ilda risulta schedata con il cognome della madre e, pur facendo parte dello stesso nucleo familiare dei genitori, residente con il fratello e la figlia di lui in via Moroni n. 24.
In quell’estate Ilda ha 34 anni e risulta essere impiegata presso la Gioventù Italiana del Littorio, ma è probabile che con le disposizioni dell’autunno 1938 debba lasciare il suo posto.
I dati disponibili del censimento successivo al RDL del 17 novembre 1938 non forniscono indicazioni sul lavoro dei censiti. Sappiamo però che in quel censimento sono corretti i dati di Ilda, che è schedata come Sonnino ed abitante in via San Bernardino n. 22, mentre è cancellata la piccola Argìa.
La famiglia della moglie di Pilade è originaria di Nossa e qui tutti i Sonnino trascorrono usualmente estati e vacanze serene. Non sappiamo dove la famiglia si trovi quando i tedeschi entrano a Bergamo, la Rsi dichiara gli “appartenenti alla razza ebraica” di nazionalità nemica ed anche nella bergamasca ha inizio la ricerca degli uomini e delle donne, dei vecchi e dei bambini da deportare.
Forse i Sonnino si fidano di Nossa e si trasferiscono tutti in quel paese della Valle Seriana; forse non credono al peggio e, come molti altri, non scappano, consapevoli di non avere fatto nulla di male.
Non sappiamo stabilire con certezza né il luogo né la data dell’arresto di Ilda e di sua madre: la nipote Argìa ricorda, in un’intervista a “Il Giornale di Bergamo Oggi”, che un giorno venne un “amico” ad avvertire che il giorno dopo sarebbe dovuto venire a prenderli, ma la nonna, memore di un arresto precedente, invita alla calma convinta che al massimo si sarebbe trattato di passare poche ore in Questura. Il ricordo di Argìa è l’unica traccia concreta che abbiamo per ricostruire l’arresto delle due donne: se può aiutare a precisare il luogo dell’arresto, da identificarsi forse in Nossa, lascia pensare che anche Ilda e sua madre siano state arrestate una prima volta nel dicembre 1943, poi rilasciate e riprese tra la fine di gennaio e il febbraio, come è accertato per altri cittadini “di razza ebraica” in bergamasca. Certo è che al massimo nel febbraio 1944 si trovano in carcere, insieme madre e figlia.
È allora che Ilda firma l’immagine votiva che Betty Ambiveri conserverà a ricordo delle compagne di prigione partite insieme perché definite per legge “di razza ebraica”.
Trasferite a Fossoli, Ilda e la madre scrivono a Amleto una prima volta il 25 febbraio. Il 5 aprile 1944 fanno parte del convoglio destinato a Auschwitz: la madre è inviata subito al gas, Ilda è immatricolata con il numero 76841. È ancora viva quando il campo è evacuato a metà gennaio 1945, ma muore a Bergen Belsen, dopo aver raggiunto il campo in uno di quei trasferimenti tristemente noti come marce della morte.
Il fratello Pilade è arrestato a Nossa il 17 agosto 1944, detenuto a Sant’Agata e poi a San Vittore e quindi trasferito a Bolzano. Da Bolzano riesce a scrivere alla famiglia ancora nel gennaio 1945 ed esprime la sua fiducia nel ritorno che ormai sembra imminente. Il 4 febbraio risulta immatricolato a Mauthausen come detenuto in “custodia preventiva”: muore pochi giorni prima della liberazione del campo.
Amleto non è deportato e muore a Bergamo nel 1947.