L’immagine della staffetta è diventata il simbolo della donna nella Resistenza. Come ogni simbolo, ha contribuito negli anni a semplificare e ridurre l’esperienza femminile, ma in quell’immagine si è condensata anche tutta la “vivezza del ricordo di un’esperienza eccezionale” in cui le esigenze pratiche di una guerra non tradizionale aprono a possibilità prima impensabili di vivere lo spazio fuori da quello considerato tipicamente femminile.
La staffetta è un ruolo inedito imposto dalla forma che la guerra assume dopo l’8 settembre: si tratta di tenere i collegamenti, trasmettere informazioni e trasportare ogni genere di “beni” tra uomini e bande che stanno agendo in clandestinità in un territorio controllato da fascisti e tedeschi. Nell’agire della staffetta c’è sempre una sfida al potere che, per essere sostenuta, richiede prontezza di spirito e ironia; c’è la paura e la consapevolezza dei rischi; c’è la sfrontatezza dell’essere giovani e la voglia di mettere in discussione il significato della parola “reputazione”; c’è il coraggio e la coscienza di condividere una progettualità più grande dandole il tessuto necessario per esistere. La staffetta riempie di libertà lo spazio che la circonda.
“Staffetta Informatrice” si definisce Elisa Forzenigo, nata a Gandino nel 1920 (gemella di Gaetano), nella numerosa famiglia di Giuseppe e Angela Motta: nove figli, sei maschi e tre femmine. Dagli anni Venti la famiglia gestisce una locanda in paese: l’Albergo Savoia, non solo albergo, ma anche ristorante e macelleria. Elisa, che ha un diploma di quinta elementare, inizia a lavorare proprio al Savoia servendo ai tavoli, mentre la sorella Angiolina, di tre anni più vecchia di lei, è in cucina come cuoca. Nella primavera del 1944 entra nelle file partigiane insieme al fratello Antonio: il fratello sale in montagna con la brigata GL Camozzi (morirà per un incidente ai Laghi Gemelli il 28 agosto 1944), lei resta a Gandino e con lei anche la sua casa entra nella Resistenza. Gandino è luogo strategico: qui i partigiani scendono per rifornirsi, qui transitano informazioni. Da staffetta, Elisa continua apparentemente la sua vita lavorando nella locanda di famiglia, ma tiene i rapporti tra le formazioni che gravitano attorno a Gandino, impegnandosi sia nella Brigata GL Camozzi, il cui comandante era originario di quei luoghi, sia nella 53a Brigata Garibaldi che si stanzia a più riprese intorno a Gandino. L’11 luglio 1944 è arrestata e interrogata dalla 612a Compagnia di Ordine Pubblico. Viene tradotta nelle carceri di Sant’Agata dove resta fino al 17 luglio 1944. Rientrata a Gandino, continua la sua attività per la Resistenza ed è nuovamente arrestata dalle brigate nere in Gandino l’8 marzo 1945. Interessante è notare che la scheda compilata per richiedere la qualifica del suo operato (scheda Cvl) e redatta a macchina il 15 ottobre 1945, è tutta declinata al maschile. Elisa firma la scheda senza correggerla, ma nella scheda Anpi, da lei non solo firmata ma anche compilata, usa il femminile, ricorda il “famigerato” Resmini e di essere stata “torturata” nell’arresto del marzo 1945.
Elisa nel dopoguerra non si sposa e all’inizio degli anni Cinquanta lascia Gandino per trasferirsi a Milano, dove vivrà la sua vita. Qui, insieme alla sorella Angiolina, apre e gestisce un bar in via Pacini nella zona di Lambrate.