Il 24 maggio 1924 a Roma, il re Vittorio Emanuele III inaugura la XXVII legislatura nella memoria della Prima guerra mondiale: giurano i bergamaschi Giambattista Preda, cattolico nazionale, Antonio Locatelli e Giacomo Suardo, fascisti. A Bergamo si celebra il ricordo della guerra con l’inumazione della salma di un caduto al cimitero e il conferimento a Mussolini della cittadinanza onoraria. Il 30 maggio 1924, in Parlamento Giacomo Matteotti denuncia le violenze fasciste e i brogli delle elezioni dell’aprile. L’on. Suardo lascia l’aula, accusando Matteotti di insultare il popolo italiano e radicando la sua scelta nella “sua dignità di soldato”. Qualche giorno dopo, Matteotti è rapito e ucciso da sicari fascisti. Si apre un momento di crisi a cui il fascismo risponde con l’uso della violenza. Anche in bergamasca si registrano scontri. Il 27 ottobre 1924 per il secondo anniversario della Marcia su Roma, Mussolini inaugura la Torre dei Caduti; al suo fianco Giacomo Suardo e Antonio Locatelli. Nel progetto piacentiniano del 1908 la Torre avrebbe dovuto avere solo una funzione decorativa, sostituita nel 1921 da quella di ricordo monumentale dei caduti bergamaschi della guerra. L’inaugurazione, con il binomio Prima guerra mondiale – Marcia su Roma, fa della Torre un baluardo del fascismo del quale celebra il nazionalismo reducistico. Pochi mesi dopo l’Italia diventerà una dittatura, che entrerà nella Seconda guerra mondiale come alleata della Germania. Nel novembre 1943 lo scenario è profondamente mutato: l’armistizio con gli Alleati è firmato da due mesi e la Repubblica sociale italiana si è costituita da poco più di un mese. Dal 10 settembre Bergamo è occupata dai tedeschi e qualche giorno dopo i fascisti sono tornati al potere. La Torre dei Caduti il 4 novembre è il centro di una cerimonia in cui il legame on la Prima guerra mondiale è declinato da forze che diventeranno protagoniste della rinascita democratica del nostro paese. Intorno alla Torre, le donne antifasciste – e insieme a loro operai e operaie e i giovani di una delle prime bande partigiane (la Turani) – esprimono infatti la loro volontà di ribellione al nazifascismo, ma anche di emancipazione dal passato fascista e dai suoi miti. Accanto alla partecipazione femminile, l’eterogeneità delle generazioni, delle classi delle esperienze vissute mette in evidenza possibilità nuove che l’antifascismo ufficiale dei 45 giorni – anche quello bergamasco – non aveva saputo cogliere, ma che alimenteranno le forze più vive della Resistenza. La cronaca più completa e vivida di quella manifestazione del 4 novembre ce la restituisce Emma Coggiola in Umili e frammentarie pagine ) Bergamo, 1952):
“In questo rinnovato clima spirituale fatto non più di attesa e di accettazione passiva degli eventi, ma di partecipazione operosa e cosciente partì da alcune insegnanti della nostra città l’iniziativa di non lasciar trascorrere il 4 novembre […] senza una dimostrazione che, pur nella sua innocua semplicità, fosse omaggio reverente e palese ai nostri morti della Prima guerra mondiale. Si trattava di deporre fasci di fiori ai piedi della Torre dei Caduti […]. Alla dimostrazione dovevano partecipare, per ovvie ragioni, soltanto le donne, ciascuna delle quali si era assunta l’incarico di raccogliere il maggior numero di aderenti fra le compagne. All’ora convenuta, nel pomeriggio di quel giorno (giornata di sole) si videro convergere da tutte le vie della città verso il centro, schiere numerose di donne, armate di crisantemi. […]. L’animazione insolita e la meta comune dei nostri passi nelle vie generalmente poco affollate […], dovettero richiamare l’attenzione di qualche zelante che credette opportuno sollecitare l’intervento dei vicini agenti della questura […] che cercavano di sbarrarci il passo. Ma era un’impresa difficile, perché in pochi contro molte; va anche notato che sul posto erano già convenuti, con lo stesso intento, alcuni giovinetti e operai in tuta; inoltre mentre qualcuna di noi veniva fermata, altre più numerose apparivano da un altro punto a stancare la pazienza dei questurini, che dovettero rassegnarsi a combattere la loro battaglia su di uno spazio più ristretto, ai piedi della Torre, dove qualche fascio di fiori era già stato deposto. Ma qui senza arrenderci, fatte anzi più pressanti, trovammo più elegante e più comodo, anziché spezzare la barriera, far volare i nostri proiettili floreali al di sopra delle spalle e delle teste dei questurini che resistettero impavidi a quella pioggia di dardi. Così ci liberammo dei nostri mazzi che andarono tutti a destinazione, anche quelli di alcune delle nostre compagne che, approfittando della confusione generale li deposero, anziché ai piedi della Torre, davanti al monumento di Garibaldi e dei più noti eroi bergamaschi. Sapemmo poi, da testimoni oculari, che uno dei pezzi grossi del fascismo […], non si vergognò di scavalcare il sacro recinto di uno di quei monumenti e di calpestare rabbiosamente quei poveri e innocenti fiori, lanciando intanto insulti e minacce […]”.
Nella libertà di quell’atto di memoria del 4 novembre 1943, che vide come protagoniste le donne, nel ricordo fatto proprio e reinterpretato della Prima guerra mondiale, si comincia a tessere una storia del nostro paese diversa da quella fascista, capace di smascherare superficialità e falsità nel rifiuto della retorica, e di restituire un significato vero, perché vicino alla vita delle persone, alla parola patria. Sul retro della Torre il 25 aprile 2019 il Comune di Bergamo ha posto una targa a ricordo di quelle “schiere numerose di donne”.