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Il dolore del corpo

Adriana Locatelli

Adriana Locatelli nasce nel 1911; è la seconda figlia di Alessandro Giovanni e  Maria Venanzi, la  sorella Annamaria, detta Nanni, ha due anni più di lei. La nonna paterna, Antonietta Noris, aveva ereditato dal padre, amico di Gabriele Camozzi, un forte attaccamento alla storia del Risorgimento, passato al figlio, che a sua volta lo trasmette alle due figlie.

I Locatelli abitavano in via san Tommaso nel nobile palazzo della famiglia della moglie e d’estate si trasferivano nella rustica casa della Calvarola di Torre Boldone fra i boschi della Maresana, dove possedevano un terreno. Il padre aveva aperto alle Cinque vie una macelleria molto rinomata, Il bue d’oro.

L’incontro con un ufficiale fuggito dal campo della Grumellina segna l’ingresso di Adriana nella Resistenza: sono i giorni attorno l’8 settembre e il militare cerca rifugio sulle colline della Maresana per sfuggire ai tedeschi che hanno previsto di deportare gli ex prigionieri dei campi fascisti nel Reich. Adriana non esita,  lo accoglie e lo rifocilla con l’aiuto del colono Paolo Alberti.

L’incontro con Ettore Tulli, per cui Adriana si fa staffetta garantendogli di poter comunicare con Pietro Leidi, la mette in contatto con il Comitato di Liberazione che si andava formando a Bergamo. In quei giorni concitati dopo l’ingresso dei tedeschi, Adriana era andata accogliendo alla Calvarola  molti ex prigionieri e soldati sbandati tanto da ben presto organizzare un vero e proprio campeggio sulla Maresana. Il padre conosce e condivide l’impegno di Adriana, che invece  agisce all’insaputa della madre. Intorno a quel campeggio va strutturandosi una delle prime bande della bergamasca: il Comitato di Liberazione promette l’invio di un suo rappresentante come appoggio nell’organizzazione.

Il 15 ottobre una prima perquisizione dei carabinieri, che  non trovano però nulla di compromettente, impensierisce Alessandro che prega la figlia dal desistere dalla sua azione. Adriana, che pur ha sempre avuto per il padre un profondo rispetto nato dall’amore e dalla stima nei suoi confronti, decide però di non demordere. Mentre l’organizzazione della banda si fa sempre più complessa e alla Maresana affluivano non solo militari in fuga, ma anche uomini decisi ad organizzare la lotta come Guido Galimberti, alla fine di ottobre con l’arrivo del capitano Filippo Benassi (nome di battaglia Marino Colasanti) Adriana passa alla clandestinità e, con il nome di battaglia Lalla, comincia una attività frenetica all’oscuro anche del padre.

La banda è ormai divisa in gruppi, i progetti d’azione si infittiscono e gli incontri al cimitero, nelle chiese di Sant’Anna, di S. Giorgio, al Santuario di Borgo Santa Caterina, dal fiorista Valoti e nello studio del dottor Leidi si susseguono, i contatti con Milano si fanno serrati e  la raccolta di armi importante.

Il 2 novembre 1944 un rastrellamento in zona Castello di Ponteranica con 7 cascine incendiate e la popolazione derubata impone a Lalla di smantellare il campeggio; l’arresto di Mondini le fa perdere il contatto con Milano e la banda resta isolata, ma continua il suo lavoro di raccolta armi.

Il 20 dicembre Adriana a casa della baronessa Valenti Benaglio trova un modo per riprendere i contatti con Milano attraverso Mimma e Bruno Quarti. Qualche giorno dopo la Valenti le presenta una nuova collaboratrice, Clelia Bossi, che entusiasticamente aderisce all’idea di assaltare il carcere di Sant’Agata e il Baroni, ma che si scoprirà presto essere una spia.

Nonostante la consapevolezza di essere ormai stata scoperta, Adriana continua il suo lavoro fino al 26 febbraio 1944 quando “reparti fascisti repubblicani con due gendarmi delle SS circondano la nostra casa di Torre Boldone. Dirigono l’operazione Carlo Von Wunster e Emilio Lavé.” (Diario di una partigiana).

Adriana insieme al padre e al colono Alberti sono prelevati e portati al Baroni; nel frattempo a Ponte San Pietro è arrestata sua sorella. La banda è smantellata.

Al Baroni Adriana è selvaggiamente picchiata dagli uomini della Compagnia di Ordine Pubblico di Resmini: il 1 marzo, dopo avere rifiutato di diventare una spia, ammette di avere organizzato l’opera di assistenza per i soldati. Il 4 marzo Adriana giunge a Sant’Agata, avrebbe bisogno di cure, ma nonostante le richieste le sole cure che riceve sono quelle delle compagne di cella.

Il 27 aprile è arrestato anche Benassi che, trasferito a Sant’Agata, è messo in cella d’isolamento fino al 27 agosto quando, ammanettato con Aldo Battaggion, è portato a San Vittore e da lì a Dachau da cui non farà ritorno. 

Ai primi di maggio il caso di Adriana è passato al Servizio Informazioni Difesa dello Stato e si apre un nuovo fascicolo: nel frattempo la sua salute è peggiorata moltissimo e solo l’intervento dei dottori Pietro Leidi e Spartaco Minelli riesce ad ottenere il suo ricovero in ospedale.

Sarà dal letto d’ospedale che Adriana Locatelli apprende dell’entrata in città dei partigiani.

 

Adriana Locatelli
Certificato del dott. Spartaco Minelli attestante le cure a cui Adriana ha dovuto sottoporsi per rimettersi dalle conseguenze delle violenze subite durante gli interrogatori
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