Tra il 1943 e il 1945 l’occupazione nazista acuisce i problemi alimentari già provocati dalla guerra: alle difficoltà nei trasporti delle derrate alimentari che provocano problemi all’approvvigionamento alimentare, si aggiungono le sistematiche espropriazioni delle riserve di cibo attuate dai tedeschi. Tutti i generi di prima necessità (pane, latte, carne, zucchero) sono razionati e sottoposti a disciplina annonaria, ma la tessera introdotta per garantire il minimo indispensabile a tutta la popolazione è insufficiente al fabbisogno reale della maggior parte delle famiglie. Fame tutto l’anno e freddo nei mesi invernali sono dunque i nemici quotidiani da combattere con ogni mezzo per la sopravvivenza delle famiglie e in questa lotta le donne, in prima linea, utilizzano mezzi leciti e illeciti. I loro racconti – di donne sole o con un uomo a fianco, di madri, di ragazze o bambine, di contadine o operaie, di impiegate, di città o di paese – restituiscono della guerra il vivido ricordo dell’esperienza della fame, del cibo e delle strategie messe in atto per sostituire quello che non c’era e per procurarsi quello che si poteva. Se non si ha altra possibilità “per necessità di vita”, per un bisogno fondamentale e superiore, ci si procura il necessario anche al di fuori delle norme stabilite dal razionamento di guerra – reato che prevedeva la responsabilità penale – o si ruba il carbone e la legna per scaldarsi.
Lo raccontano le sentenze penali per reati comuni a carico di donne emesse dal Tribunale Penale di Bergamo tra il 1943 e il 1945 – conservate presso l’Archivio di Stato di Bergamo – per la maggior parte riguardanti reati classificati come infrazione annonaria: violazione delle norme sul razionamento e approvvigionamento attraverso il mercato nero. Spesso si tratta di modeste quantità di carne, sale e burro destinate al consumo famigliare in un contesto drammatico di guerra, in cui tutto è regolamentato: dalla vendita delle patate, del latte, del pane. Nella stessa tipologia è compreso il reato di trafugamento di carte annonarie; sono diverse le condanne a carico di donne per essersi appropriate di quantitativi di carte e di tagliandi dai banchi vendita dei negozi in particolare di prestinai [fornai] oppure a carico di dipendenti presso Enti pubblici. Pur non mancando casi di speculazione, per esempio l’impiegata del Comune di Grumello del Monte che nel 1944 si appropria di 100 carte annonarie per trarne profitto (condanna a sei mesi di reclusione sentenza n. 717 del 22 dicembre 1944) il più delle volte si tratta di reati commessi per necessità e le stesse sentenze in diversi casi ne prendono atto.
Non mancano i furti in abitazioni private, di oggetti preziosi, gioielli, indumenti e talvolta denaro ma soprattutto i numerosi provvedimenti a carico di donne per sottrazione di carbone agli scali ferroviari durante i rigidi inverni del 1944 e 1945. È il caso di cinque donne, tutte residenti a Bergamo, che sono sorprese il 9 gennaio 1944 da militi ferroviari nell’atto di asportare del carbone dal recinto della stazione delle ferrovie della Stato di Bergamo. Tutte risultano incensurate, all’udienza ammettono il tentativo di furto; sono condannate alla pena di mesi 8 di reclusione, a Lire 700 di multa e in solido al pagamento delle spese processuali; al tempo stesso il Tribunale ordina la sospensione della condanna e “che di essa non si faccia menzione nel casellario giudiziale” (sentenza n. 286 del 12/04/1944). In quattordici (nove donne e cinque uomini) sono accusati di concorso in tentato furto aggravato di carbone da carri ferroviari presso la stazione di Gorlago (BG) la sera del 10 gennaio 1944: sei sono condannati a quattro mesi di detenzione con sospensione della pena, a sette viene concesso il perdono giudiziale perché minori, uno è assolto per insufficienza di prove (sentenza n. 498 del 14/06/1944). Indicativa la sentenza che vede imputate due donne per furto di 15 kg di carbone ciascuna il 12 gennaio 1945 allo scalo di Treviglio, durante il dibattimento esse ammettono il fatto “perché spinte da necessità di vita” (sentenza n. 208 del 28/05/1945). Sono frequenti le sentenze che rivelano come nei luoghi di lavoro, specialmente nelle industrie del settore tessile dove è alta la presenza di maestranze femminili, si compiano ruberie di lino, matasse di canapa, spole di filati, ritagli di cuoio, gomitoli e rocchelle di filato, fusi di filato e tele. Le fabbriche maggiormente interessate a tale fenomeno sono il Linificio e Canapificio di Almè con Villa, la Zopfi di Ranica, la S.A. Reggiani di Bergamo e il Canapificio Nazionale di Fara d’Adda. Anche in questo caso non può sfuggire, dato lo scarso salario delle operaie tessili, come il furto delle stoffe o dei fusi potesse servire o per le necessità familiari o per produrre capi da rivendere per integrare il bilancio familiare.