I compagni della brigata, su iniziativa del loro comandante, tentarono di liberare nottetempo, nei pressi di Possimo, gli sventurati prigionieri, condotti a forza verso morte certa; Giovanni Berta “Leo” raccontò così l’accaduto:
«…scorgemmo delle ombre vicinissime a noi, forse a una decina di metri, erano fascisti. Ci sdraiammo nella neve, sparpagliandoci ed iniziammo a sparare. Era buio. Iniziò un fuoco nutrito da entrambe le parti. Filava mise in azione il mitragliatore. La nostra posizione era indifesa e esposta ai colpi nemici, essendo la strada infossata molto profondamente fra due ripidi pendii. Lo scontro giunse improvviso e ci trovò impreparati. I compagni delle posizioni più esposte tentarono di sganciarsi. A mio fratello si inceppò il mitragliatore, ma lo smontò rapidamente. I fascisti sparavano come indiavolati, le pallottole fischiavano sul nostro capo. Tentarono di aggirarci, e fummo costretti a ripiegare. Il comandante, da dietro un grosso sasso, continuava a sparare con la sua machine pistole» (G. Berta, Per non dimenticare. Diario Partigiano, p. 152).
La sorte dei sei partigiani catturati alla Malga Lunga fu allora irrimediabilmente segnata e a nulla valse l’estremo tentativo di Brasi, rimasto ferito a Possimo, di ottenere la loro liberazione tramite uno scambio di prigionieri: Merico Zuccari, il comandante della Tagliamento, rifiuta ogni trattativa, sicuro che la morte di Paglia e dei suoi uomini sarà il colpo definitivo per la formazione garibaldina.