Le Leggi per la difesa della razza sono approvate all’unanimità dalla Camera, a larghissima maggioranza dal Senato e controfirmate dal re Vittorio Emanuele III di Savoia. La loro elaborazione e approvazione non provoca una reazione di massa, anzi all’interno della società civile non si manifesta nessun rifiuto a riconoscersi in quello Stato che ha approvato quelle leggi e reso il razzismo pratica statale.
Il silenzio accompagna la messa in moto dell’apparato burocratico che con solerzia scheda, verifica e procede all’esclusione dei cittadini classificati per legge ebrei, che finiscono per trovarsi soli e isolati all’interno di una collettività in cui non domina la violenza bruta, ma la superficialità, il cinismo, l’indifferenza.
Per tutto il lungo periodo che va dal 1938 fino ad almeno tutta l’estate 1940 domina una “surreale normalità” in cui opportunismo, carrierismo, appetiti suscitati dai posti lasciati vacanti, affari vantaggiosi conclusi con rapidità connotano un diffuso conformismo al quale opporsi e andare contro corrente è stato gesto di pochissime figure.
Tra queste da non dimenticare, accanto al più noto Benedetto Croce, è Ernestina Bittani, la moglie di Cesare Battisti: nel gennaio 1939, saputo della morte di Augusto Morpurgo, figlio di Salomone, volle che sul “Corriere della Sera” fosse pubblicato un suo necrologio. Con semplicità quel gesto di insubordinazione e di aperta sfida all’importante giornale e all’ipocrisia generale Ernestina fece sentire che opporsi si poteva.
Conformismo, indifferenza e cinismo accompagnano una persecuzione violenta dei diritti dei cittadini definiti per legge di “razza ebraica”, che però si caratterizza per l’assenza di fanatismo e di violenza bruta.
La furbizia e il tornaconto personale regna anche nella nostra provincia, dove però non manca anche qualche atto esplicito di violenza. Il negozio “Da Levi”, la cui pubblicità compare fin dagli anni Trenta e per tutto il 1938 sulle prime pagine della “Rivista di Bergamo”, è imbrattato con scritte antisemite e la famiglia costretta a cedere rapidamente l’attività e a trasferirsi in Svizzera.
Non si conoscono voci pubbliche di protesta in città e non resta che scavare sotto lo strato di indifferenza generale. A Bergamo nel 1938 muore Arcangelo Ghisleri: docente, pubblicista, geografo e politico italiano, ebbe un rapporto complesso con la città e vi portò l’eredità delle istanze democratiche del Risorgimento contro nazionalismo, razzismo e fascismo. Vi soggiornò in quattro periodi della sua vita, sposò una bergamasca originaria di Piario, insegnò al Sarpi, lanciò importanti progetti editoriali con Paolo Gaffuri e l’Istituto italiano d’arti grafiche, e dal 1920, pur chiuso in “un silenzio pubblicistico determinato dalla non adesione all’orizzonte storico-politico del suo tempo”, fu un punto di riferimento per tutta una generazione di donne e uomini che seppero prendere la parola contro il fascismo. Ernesto Rossi ricorderà: “se c’è ancora qualche giovane capace di resistere, è perché alcuni degli uomini della sua generazione hanno seminato. E [Ghisleri] è stato certo uno dei migliori tra quelli”. E se appunto Ernestina Bittani fu insieme a Gaetano Salvemini una dei suoi allievi, Ernesto Rossi a Bergamo fu legato a Ghisleri d’amicizia e spesso lo andò a trovare nella sua casa portandogli stampa clandestina.
Organizzatore di Giustizia e Libertà e professore a Bergamo, Ernesto Rossi è legato a Ada Rossi, che abita in via Mazzini, vicina di casa di Ghisleri. Se Ada ricorda come al momento dell’arresto di Ernesto si precipitò a trovarla Ghisleri, nel 1938 Ernesto è in carcere insieme a Vittorio Foa con cui condivide l’apprensione per il significato delle leggi razziali. Importanti allora le lettere che Rossi scrive dal carcere a questo proposito sia alla madre che alla stessa Ada. Ed è proprio intorno a Ada che va formandosi un gruppo di giovani che manterranno vivo il filo dell’antifascismo, imparando innanzitutto ad essere uomini e donne meno superficiali e indifferenti, per poi impegnarsi in prima persona nella lotta per la Resistenza.