L’8 giugno 1859, Garibaldi entra a Bergamo e a luglio viene firmato l’armistizio di Villafranca.
Il 12 agosto, dopo una lunga chiusura decisa dalle autorità a causa della seconda guerra d’indipendenza, il teatro Ricciardi (l’attuale Donizetti) viene riaperto ufficialmente per festeggiare l’ingresso in città di Vittorio Emanuele II.
Non c’è molto tempo per organizzare l’evento, ma in quei giorni in città c’è Angiolina Ortolani, in visita ai genitori. Figlia dell’oste di via San Bernardino, voce scoperta da Gaetano Donizetti all’osteria dei Tre Gobbi, Angiolina ha intrapreso una carriera di soprano conosciuta in tutta Europa. In quell’estate è di ritorno da Barcellona dove non solo ha appena chiuso una stagione segnata da riconoscimenti importanti, ma sulle scene si è innamorata e ha sposato il tenore Mario Tiberini. E saranno proprio loro a tenere il concerto per accogliere Vittorio Emanuele in città.
Non interessa qui di ricostruire la biografia di Angiolina (su cui peraltro manca una monografia), ma sollecitare i nostri interlocutori a ricercare nel tessuto urbano di una città i segni della sua genealogia femminile, troppo spesso dimenticata. E nella scia di Angiolina, soprano giramondo che ha finito i suoi giorni di fronte al mare di Livorno, ricordare lo slancio con cui nacque il nostro paese, gli ideali impliciti nel nostro Risorgimento.
Dal punto di vista del nostro percorso, è importante ricordare che l’Italia nata nel 1861 è un paese che vede una rapida e semplice integrazione della minoranza ebraica presente nel paese: con l’applicazione su tutto il territorio dello Statuto albertino del 1848 vennero aboliti i ghetti e la partecipazione degli “ebrei” in quanto italiani alla costruzione della nuova compagine statale fu significativa ed importante.
È questa la vera novità, una vera rivoluzione antropologica, che segna la storia dell’Italia unita e porta nel biennio 1919-1920 Lodovico Mortara, figlio del rabbino di Mantova, a diventare ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti.