Dopo la caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, il governo Badoglio non abroga Le leggi per la difesa della razza; si limita a prendere alcuni provvedimenti di carattere amministrativo che non cambiano la condizione di quei cittadini classificati “di razza ebraica” e schedati e identificati come tali presso tutte le anagrafi.
Con il passaggio del territorio sotto controllo delle truppe naziste di occupazione, si assiste subito ad alcune azioni contro gli ebrei: tra il 20 e il 25 settembre la strage degli ebrei rifugiati a Baveno, Stresa, Meina e Arona sul Lago Maggiore, il rastrellamento di quelli di Trieste il 9 ottobre e di Roma il 16 ottobre.
La Repubblica sociale italiana (Rsi) è proclamata il 23 settembre e tra il 14 e il 16 novembre si tiene a Verona il congresso del Partito fascista repubblicano (Pfr). Il suo manifesto programmatico, conosciuto come la Carta di Verona, al punto 7 afferma: “gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”.
I cittadini italiani per legge “di razza ebraica” non sono più italiani, ma nemici da combattere; chi li ospita o protegge è perseguibile poiché colpevole di collaborazione con il nemico. L’Italia fino a quel momento, e per le pressioni delle alte gerarchie militari su Mussolini, non aveva acconsentito alla deportazione verso l’universo concentrazionario nazista né degli ebrei italiani né di quelli stranieri presenti sul territorio nazionale e in quelli occupati. Ora, nell’Italia della Rsi tanto la caccia agli oppositori politici (i ribelli, i banditen) che la politica razziale si traducono nella deportazione.
Sul territorio della bergamasca si trovano non solo cittadini italiani qui residenti già classificati all’anagrafe “di razza ebraica”, ma anche ebrei stranieri internati liberi e, con l’intensificarsi dei bombardamenti, i paesi della provincia accolgono molti sfollati che fuggono dalle città bombardate: vengono soprattutto da Milano ed hanno nella nostra provincia dimora provvisoria. Tra questi sono molti i cittadini “di razza ebraica”.
Con il telegramma del 30 novembre 1943, trasmesso a Bergamo il 1° dicembre, il ministro degli Interni della Rsi, Guido Buffarini Guidi, non solo ordina la cattura degli “ebrei”, ma anche il sequestro dei loro beni. Il 4 gennaio 1944 un decreto del duce stabilisce le regole per la confisca definitiva di tutti i beni mobili ed immobili dei cittadini dichiarati sulla base del RDL del 17 novembre 1938 “appartenenti alla razza ebraica”: le disposizioni per l’applicazione delle norme sono precise e chiarite con cura presso tutti gli uffici competenti.
È investito ufficialmente della confisca l’Ente gestione e liquidazione immobiliare (Egeli), creato contestualmente alle Leggi per la difesa della razza per curare la gestione dei beni sequestrati agli ebrei in base al RDL del 9 febbraio 1939 che fissava un tetto alle proprietà dei cittadini di “razza ebraica”.
Nella nostra provincia si mette in moto con cura e metodicità la macchina per la confisca dei beni: è una macchina burocratica certo, ma anche un sistema che funziona grazie alla buona volontà di molti diligenti esecutori degli ordini impartiti.
Nelle carte della Prefettura si ritrovano i fascicoli riguardanti i beni appartenenti a cittadini ebrei: 77 sono nominali e concernono i cittadini residenti, ma anche gli internati liberi e gli sfollati nella nostra provincia. Una cinquantina riguardano società che richiedono alla Prefettura accertamenti sulla razza dei loro soci e/o lavoratori per poter procedere alla loro denuncia. Innumerevoli gli oggetti catalogati nelle liste di confisca e che testimoniano di vite violentate e spezzate.