All’inizio dell’Ottocento alcuni documenti riportano tracce di una volontà d’insediamento ebraico come se la realizzazione di un ghetto fosse un progetto in corso.
A inizio Ottocento, una “strada del Ghetto” che si dirama dalla Strada regia fuori Porta Broseta è menzionata in alcune carte della Delegazione provinciale (1830) e riportata in carte topografiche dell’epoca; a inizio Novecento, in una carta topografica allegata ai primi progetti dell’Ospedale, si può rilevare una cascina detta del Ghetto. È certo però che un vero e proprio ghetto non è mai stato presente in città e se ci fosse anche stata l’idea di costruirlo, l’Unità d’Italia portava a tutt’altro modo di abitare.
Dall’emancipazione del 1848, a Bergamo e nella sua provincia, le famiglie di origine e/o di religione ebraica vivevano integrate alla collettività bergamasca.
Sarà la legislazione razzista dell’Italia fascista del 1938 e poi il censimento e la discriminazione che ne seguono ad evidenziarne la presenza in quanto gruppo separato.
Dall’elenco dei nomi raccolti nel primo censimento del 1938, possiamo affermare che nella provincia di Bergamo la presenza ebraica si era andata concentrando soprattutto in città, dove la maggior parte delle famiglie era giunta dopo la Prima guerra mondiale.
Proprio quell’intreccio culturale e religioso che ha caratterizzato la nascita dell’Italia caratterizza anche la comunità di Bergamo: i nati nella bergamasca infatti appartengono alle generazioni più giovani, quelle degli anni Venti, e nella maggior parte dei casi sono figli di famiglie cresciute dall’incontro tra tradizioni religiose diverse.