Se la Repubblica Sociale Italiana non riesce a ricostruire l’apparato militare necessario per garantirsi una propria autorità di fronte all’alleato-occupante e a tenere fede alla volontà di riscattare l’onore nazionale infangato dall’armistizio voluto dalla monarchia, la scelta di molti giovani di sottrarsi ai bandi di reclutamento (classi 1924 e poi 1923 e 1925) è il primo segno di un radicamento autentico e vitale della Resistenza dentro il tessuto sociale.
Mentre sul territorio vanno formandosi le prime bande, le cui azioni hanno quali obiettivi privilegiati la raccolta di armi e il soccorso ai prigionieri militari alleati scappati dai campi fascisti e ora braccati dalla RSI, dal 31 gennaio 1944 è il Cln di Milano ad assumere l’effettiva direzione della lotta armata nell’Italia occupata sotto la denominazione di Clnai (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia).
Anche a Bergamo le prime bande nascono spontanee e concentrano la loro azione sull’assistenza a militari e ex prigionieri sbandati e braccati dai nazisti. È qui che le donne dimostrano un impegno fino a pochi mesi prima nemmeno pensabile e tessono una rete che attraversa le specificità politiche e culturali dei diversi gruppi: sono due donne le promotrici di due delle prime bande che operano alla periferia di Bergamo: Adriana Locatelli per la Banda della Maresana e Betty Ambiveri per la Decò Canetta.
Anche a Bergamo all’inizio dell’autunno, il 7 ottobre 1943, si riunisce nello studio di Franco Maj, proprio di fronte a Casa Littoria, il Primo Comitato di Liberazione con l’intento di dare una struttura e definire una strategia d’azione comune. Alla riunione sono invitati i promotori delle prime bande che agiscono sul territorio e salta agli occhi l’assenza di rappresentanti della banda che si è andata raccogliendo intorno a Arturo Turani.
Rimasto nell’ombra per tutto il ventennio, dopo l’8 settembre Turani diventa punto di riferimento per gran parte dell’antifascismo convinto del bisogno di agire: fin dalla prima azione per il recupero delle armi (15 settembre) alla Caserma Sant’Agostino, ad opera di C. Consonni e A. Masnaga, le azioni della Turani sono spericolate e di grande richiamo sulla popolazione. Sfide lanciate ai ferrei controlli che le truppe di occupazione esercitano sul territorio, l’assalto alla Caserma Seriate, la sottrazione di benzina dal campo di Orio o quella da villa Pesenti ad Alzano, sono tutte azioni che prolungano quella volontà dimostrativa e di propaganda sottesa alla stampa di materiale informativo della cui redazione si occupa in primis Frida Ballini. Non è un caso che nella prima manifestazione contro l’occupante tedesco organizzata a Bergamo, il 4 novembre 1943 intorno alla Torre dei Caduti, per celebrare i caduti della Grande guerra vinta contro i tedeschi, accanto alle donne armate di crisantemi si trovino anche i giovani della Turani.
È un modo di concepire la lotta come guerriglia, il rapporto con il nemico come corpo a corpo che coinvolge inevitabilmente anche la popolazione e non teme il gioco di forze impari, ma si affida allo scarto di intelligenza e immaginazione.
La repressione nazifascista che si abbatte nell’inverno 1943-44 ed è volta a sradicare sul nascere la Resistenza in formazione, recidendo il suo rapporto con il territorio e disarticolando la sua struttura, a Bergamo colpisce per primi i componenti della banda Turani.
Nella notte fra il 19 e il 20 novembre, grazie a una spia, la banda è sgominata. Arturo Turani, Cesare Consonni e Giuseppe Sporchia, dopo essere stati torturati e interrogati al Baroni e poi a Sant’Agata, sono condannati dal Tribunale militari germanico. Sono fucilati alla Caserma Seriate (oggi Lazzaretto): Cesare Consonni è il primo a cadere il 6 gennaio 1944, gli altri il 23 marzo 1944.
Di fronte alla breve vita della Turani sarebbe falsamente consolatorio pensare che causa della sua fine sia stata la spericolatezza, la spregiudicatezza nell’azione. Non si dimentichi infatti che l’apparato nazifascista tra il novembre e il dicembre 1943 colpisce i primi gruppi e l’organizzazione politica della Resistenza in bergamasca, senza nessuna distinzione. Nessuno riesce a sfuggire alla cattura. Le bande si riducono al lumicino e tuttavia le autorità fasciste devono registrare l’impossibilità di sradicare una volta per tutte i “ribelli”.