Il 17 novembre 1944 il gruppo di partigiani della 53a Brigata Garibaldi “Tredici Martiri di Lovere” comandati da Giorgio Paglia viene attaccato, nei pressi della Malga Lunga sul monte di Sovere, dai militi della Legione Tagliamento che, dopo quasi tre ore di duro combattimento, lanciano alcune bombe a mano dal tetto all’interno dell’edificio dove si erano asserragliati gli otto resistenti, rimasti a corto di munizioni. Traditi, senza poter contare sull’aiuto di altre squadre partigiane, a Giorgio e ai suoi non resta che la resa. I fascisti, nonostante le rassicurazioni date ai prigionieri in merito alla loro sorte, procedono ad eliminare sul posto, pugnalandoli a sangue freddo, i feriti che trovano all’interno della Malga: il sovietico Ilarion Efanov “Starich” e Mario Zeduri “Tormenta”, e fanno marciare a valle gli altri, dopo averli interrogati pesantemente e averli privati malignamente delle loro calzature. La data del 17 novembre resta per la bergamasca il simbolo della violenza della repressione che si abbatte sulla Resistenza nell’inverno 1943-1944.
Tra la fine d’agosto e settembre l’imminenza dell’attacco alleato contro la linea Gotica aveva spinto i tedeschi a scatenare un’offensiva antipartigiana mirante a liberare quelle zone nelle quali la presenza partigiana avrebbe potuto rivelarsi pericolosa da un punto di vista strategico. Da ottobre, tuttavia, una nuova prospettiva si profila: l’interrompersi dell’avanzata alleata permette ai tedeschi di impiegare forze più ampie contro le unità partigiane (la “settimana di lotta alle bande” bandita da Kesserling tra l’8 e il 14 ottobre). A questa situazione, già difficile, si aggiunge la particolare inclemenza e precocità dell’inverno e soprattutto il “proclama Alexander” (13 novembre). La parola d’ordine degli Alleati è stare in guardia, cessare le operazioni su larga scala e tenersi pronti: suona per i partigiani come un appello alla smobilitazione, un “tutti a casa”.
L’effetto di questa situazione è quasi esiziale per la lotta di guerriglia: non solo perché rivela la scarsa preparazione militare di molte unità, le pecche dell’armamento e la “zavorra” dei nuovi arruolati sull’onda dell’entusiasmo dell’estate, ma anche perché la politica tedesca del terrore, i saccheggi, le spoliazioni rischiano di spezzare l’elemento essenziale, il fondamento stesso della guerriglia: il legame tra bande armate e popolazione.
Il 21 novembre Giorgio e i suoi compagni – Guido Galimberti “Barbieri”, Andrea Caslini “Rocco” e i sovietici “Donez”, Alexander Noghin “Molotov” e Semion Kopcenko “Simone”- vengono condotti al cimitero di Costa Volpino per la loro esecuzione. A Giorgio è offerta la salvezza, a patto di aderire alla Rsi, anche in considerazione del fatto che il padre Guido era un eroe fascista della guerra di Etiopia. Giorgio rifiuta senza esitazioni, chiedendo anzi di essere fucilato per primo, in modo tale che i compagni potessero constatare di persona la veridicità delle sue parole. Quest’ultimo atto della vita di Giorgio non fa che confermare il suo modo di vivere e le scelte compiute nell’arco di tutta la sua vita.
Nato a Bologna nel 1922, si trasferisce presto ad Alzano Lombardo, paese natale della madre, Teresa Pesenti. Si iscrive al Politecnico di Milano ma, all’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, è costretto ad abbandonare gli studi e a servire quel Paese che aveva imparato ad amare fin da bambino. In seguito all’armistizio dell’8 settembre, trovandosi nei pressi di Roma, Giorgio decide di opporsi con le armi all’occupante tedesco, combattendo in quella zona per una decina di giorni. In seguito raggiunge l’alta Val Brembana, unendosi ad altri “sbandati”, e lì rimane fino al Natale del 1943 quando, scoperto, si rifugia a Forte dei Marmi, dove entra in contatto con i primi nuclei della Resistenza in Versilia, fino al marzo del 1944 quando un arresto fortuito con successivo rilascio lo costringono a rientrare a Bergamo. Trovato lavoro a Milano entra in contatto con i Gap ma nel giugno del 1944 raggiunge Lovere, per entrare nella 53a Brigata Garibaldi, diventando tenente comandante della Prima squadra.
Le sue doti militari, unanimemente riconosciute dai compagni di lotta, furono determinanti in alcune battaglie, come quella del 31 agosto 1944 a Fonteno o del 17-18 ottobre 1944 alla Corna Lunga.