Il palazzo fu costruito tra il 1937 e il 1940, su progetto di Alziro Bergonzo, per diventare la sede del Partito nazionale fascista. Sorgeva sul luogo che era stato occupato dal vecchio ospedale di San Marco, trasferito nel 1930 nella nuova sede nel quartiere di Santa Lucia. Il progetto fu approvato dopo un appalto pubblico dalla cui commissione di cui faceva parte anche Marcello Piacentini, che aveva predisposto negli anni Venti il nuovo centro cittadino.
Del rinnovamento cittadino Casa Littoria era in un certo senso il naturale completamento. Fu intitolata ad Antonio Locatelli, medaglia d’oro della Grande Guerra, fascista della prima ora, parlamentare e podestà, caduto nella campagna di aggressione all’Etiopia. L’apertura del palazzo è dell 28 ottobre 1939, anniversario della marcia su Roma, in attesa della mai avvenuta inaugurazione da parte di Mussolini nel 1940.
La struttura monumentale dell’edificio è in stretta correlazione con la piazza dove erano previste le adunate: proprio verso la piazza guarda il balcone ferreo che si apre tra le colonne della facciata. Questa è infatti costituita da un grandioso porticato di dodici pilastri, alti oltre venti metri, reggenti un architrave con la dedica: “Ad Antonio Locatelli tre volte medaglia d’oro della guerra e della rivoluzione”, e la data: XVII anno E.F. Nell’atrio monumentale, nel 1940 il pittore Antonio Giuseppe Santagata dipinse la “Vita eroica di Antonio Locatelli”.
La Casa, abbandonata e saccheggiata dopo il 25 luglio 1943, è stata luogo della prima riunione di squadristi: rientrata in funzione subito dopo l’8 settembre diventa anche luogo di interrogatori e di tortura. Senza soluzione di continuità, gli uffici amministrativi erano confinanti con le sale dove si usava violenza e c’è chi ricorda le urla dei prigionieri irrompere nella quotidianità lavorativa.
Il primo piano ospitava gli uffici del federale e della segreteria politica; quelli superiori le sedi di alcune organizzazioni del partito, fra queste la IX Brigata Nera “Cortesi”, ma in essa operavano anche gli uomini della GNR, della 612° OP e delle SS.
Il piano interrato è usato come carcere provvisorio sia dai fascisti che dai nazisti, tra un interrogatorio e l’altro, e prima del trasferimento del prigioniero a Sant’Agata. Fra i tanti, le cui vicende sono ampiamente documentate, ricordiamo Aldo Battaggion che definiva “eterne” le botte ricevute in Federazione, Gianfranco Maris che assiste al pestaggio di un compagno, don Achille Bolis, parroco di Calolziocorte, che morirà per le percosse a San Vittore, e Stefano Marinoni che testimonia del sollievo provato quando la sirena antiaerea cominciò a suonare e da Casa Littoria fu condotto precipitosamente al carcere di Sant’Agata, evitandogli così la nota violenza lì usata sui prigionieri.
Dopo il 25 aprile fu la sede del Comitato di liberazione nazionale e di alcuni partiti e organizzazioni che tornavano alla vita politica e civile. Si salvò dalla distruzione, nonostante alcune voci autorevoli si fossero alzate a chiederla, e mai venne rimossa nemmeno la scritta inneggiante ad Antonio Locatelli.
Così la descrive Natale Mazzolà, alla Liberazione: “L’immenso palazzo era vuoto. I passi risuonavano cupi tra i marmi littorii freddi come le case dei morti. E morta era infatti la Repubblica di Salò e in fuga o arresi il suo esercito e i suoi militi. In una sala, per terra, gettati alla rinfusa, vidi centinaia di neri gagliardetti, abbandonati. Eppure, i vessilli si salvano o si distruggono: quelli parevano strame da calpestare. Li feci accatastare e chiusi la porta”. (N. Mazzolà, Pietro aspetta il sole).